La forza di tutte le voci
Giustizia e utopie. Radio Radicale deve vivere per il suo servizio pubblico, ma soprattutto per tutto il resto
Non mi prendete per massimalista: sono solo ragionevole. Sostengo che Radio Radicale debba vivere, non solo per l’eccellente servizio reso trasmettendo gli atti parlamentari, ma anche e soprattutto per il resto. Per i processi. Balzac e Stendhal leggevano la Gazzetta dei Tribunali per ispirarsi: figuratevi che avessero lo speciale giustizia e i suoi archivi. I congressi di partito. Gli “eventi”, convegni, dibattiti, comizi. La concorrenza con il servizio di Radio Parlamento è un falso problema, e la signorilità con cui da quel programma si è commemorato Massimo Bordin lo mostra. Le dirette parlamentari, aule e commissioni, informano e formano. Tuttavia sarebbe sciocco pensare che un loro ascolto costante possa venire dai non addetti strettamente ai lavori. Dal famoso popolo. Per gli altri argomenti, caso mai, un confronto va fatto con la Radio 3 della Rai, i cui programmi sono però non rivali ma complementari a quelli radicali. Per esempio: non di rado combino l’ascolto di “Prima Pagina” con la rassegna di “Stampa e regime”. Di “Prima Pagina” mi interessa (o no) di volta in volta il conduttore, e a volte gli interventi degli ascoltatori. Una settimana fa, conduttore Federico Fubini, il testo del Papa emerito Ratzinger ha suscitato un fenomeno straordinario: uomini e donne anziani hanno reagito alla suggestione sul nesso fra Sessantotto e pedofilia, raccontando abusi e violenze che avevano subìto o visto infliggere quando erano piccoli, negli anni fra i ’40 e i ’60. Un’impressionante versione del #Me-too: vorrei che tutti avessero ascoltato le parole e il tono di una signora che parlava in un dialetto veneto e forse era di lingua madre di uno dei nostri territori di frontiera. Qualunque fine si fosse proposto Ratzinger, questa reazione era la più imprevedibile e la più significativa. Bene: Stampa e regime si ascolta invece largamente per colui che la conduce. Era così per antonomasia con Massimo Bordin. Lo è anche con Marco Taradash (il primo a varare la rassegna stampa) e Marco Cappato. E lo sarà per chi prenderà il testimone di Massimo, come ha fatto nei giorni della sua assenza Roberta Jannuzzi. C’è un’altra differenza fra Radio 3 e Radio Radicale, che va a vantaggio di ambedue: la prima ha un suo pubblico vario sì (fino a stupire: come nelle reazioni sul punto dei migranti) ma entro un’area culturale più definita. Radio Radicale morirebbe di suo se perdesse l’impronta libertaria e garantista, ma ospita voci più eterogenee, “tutte le voci”, come recita il suo spot. Combinare “tutte le voci” ed essere “se stessi” e non degradare la cosa a un gioco di parole era affare di un uomo da marciapiede come fu Marco, di un cavaliere solitario com’è stato Massimo. E della loro scuola. “Tutte le voci”. Guardate come la stessa rete ha spartito e separato i suoi pubblici, irrigidendo e incarognendo le fedeltà invece che nutrendo il confronto. Ci sono altre radio ammirevoli, ma sono per lo più locali. Cose così perderemmo, senza ricambio, se perdessimo Radio Radicale. Le carceri: può sembrarvi una questione marginale, specializzata. Sbagliate.
Se vuoi capire in che paese ti trovi, guarda le sue carceri: frase fatta, direte. Ma se vuoi capire come mai in Italia il terrore jihadista non ha colpito, e non ti accontenti della bravura della nostra intelligence né della nostra fortuna, devi guardare alle galere. Il cui stato è certificato miserabile: se non produce esplosioni brutali e non mette in giro plotoni di terroristi, lo si deve largamente alla vicinanza, all’amicizia, all’educazione praticate da Pannella, da Rita Bernardini, e dai tanti che con loro si sono fatti visitatori tenaci, promotori di lotte solidali e nonviolente, seminatori di speranza. Radio Carcere è uno strumento insostituibile perché i detenuti serbino un rispetto di sé, perché il carcere ricordi il compito che la Costituzione gli affida, perché la cittadinanza non resti fuori dai suoi muri. Ecco: servizio pubblico. Ancora, Radio Radicale si è nutrita di una cosa che si può chiamare internazionalismo – transnazionali, piace a loro dirsi. A me piace internazionale, il nome più bello prima che ci tornasse addosso mutato in globalizzazione. Pannella era lungimirante o spaccone, come volete, non si fermò all’europeismo federale, immaginò il governo del mondo, un’internazionale di paesi retti dal diritto e intanto di minoranze unite dalla lotta nonviolenta per i diritti. Il governo del mondo è un’utopia? Certo, ma senza la capacità di immaginare un governo del mondo secondo fraternità e diritto non si sanno immaginare i passi piccoli o grandi che vadano in quella direzione. Radio Radicale non ha avuto un interesse per “gli esteri”, ha coltivato, con una sua impetuosa megalomania, una politica mondiale, che si tratti dei diritti umani o del destino del pianeta. Sono solo degli esempi di che cosa perderemmo con la Radio: ciascuno può aggiungerci i suoi.
generazione ansiosa