Nemmeno la Libia vuole i 65 migranti salvati dalla Sea Watch
Nessun governo interpellato dall'ong vuole accogliere i naufraghi, che restano in mare. Salvini invoca un nuovo decreto sicurezza mentre Di Maio lo critica: "Si vede che si è dimenticato qualcosa nel primo"
La nave dell'ong Sea Watch resta in attesa di comunicazioni su un porto sicuro dove fare sbarcare i 65 migranti (tra cui 7 bambini, alcuni di pochi mesi) salvati ieri a 30 miglia nautiche dalle coste libiche. Dopo avere contattato i paesi competenti – Olanda, Libia, Italia e Malta – l'equipaggio della nave non ha ancora ricevuto alcuna risposta e rimane nella zona sar libica. La Sea Watch 3 denuncia di essere stata abbandonata ancora una volta dai governi europei e di essere stata minacciata anche dalla cosiddetta “Guardia costiera” di Tripoli. All'alba di oggi, una motovedetta libica, la Ras Jadir, ha avvicinato la nave dell'ong e ha intimato all'imbarcazione di allontanarsi dalla costa: adesso nemmeno nel paese nordafricano sembrano intenzionati ad accogliere i naufraghi. Tuttavia, come già ribadito più volte dall'ong, l'ipotesi di ricondurre i migranti in Libia è fuori discussione perché, come ricordato oggi dalla portavoce Giorgia Linardi, “si tratterebbe di una violazione del diritto internazionale perché il paese non è un luogo sicuro in alcun punto della sua costa”. “Trovare un porto sicuro non è certo un compito delle navi, ma un obbligo delle autorità”, ha spiegato Linardi.
Per ora le condizioni delle 65 persone sono stabili ma, dicono dalla Sea Watch, il “team medico a bordo riporta casi di ustioni gravi dovute alla miscela di carburante e acqua del mare”. È chiaro che all'orizzonte c'è il rischio di un ennesimo braccio di ferro tra l'ong e i governi dei paesi europei. Il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, non ha mancato ieri di inviare una nuova direttiva ai comandi di polizia, carabinieri, Guardia di Finanza e Guardia costiera affinché vigilino sul comportamento della nave e non si “reiterino condotte di contrasto con la vigente normativa nazionale e internazionale in materia di soccorso in mare”. Nella direttiva il Viminale sottolinea ancora una volta che la Libia dispone di una sua area sar (search and rescue) dove è competente. Il ministero individua una correlazione diretta tra questo e il fatto che il paese sia un porto sicuro. Una tesi che però contrasta con le norme internazionali perché disporre di un'area sar non implica il fatto di essere un porto sicuro, a maggior ragione considerato il conflitto tutt'ora in corso tra della autorità della Cirenaica e della Tripolitania.
Sempre oggi, presentando i risultati ottenuti dal decreto sicurezza in tema di criminalità, Salvini ha rilanciato la necessità di approvare in tempi rapidi un decreto sicurezza bis. Si tratta di un documento che ha già attirato molte critiche perché, nella sua bozza che ancora deve essere discussa in Consiglio dei ministri, si prevede una concentrazione delle competenze nelle mani del ministro dell'Interno a scapito di quello delle Infrastrutture. Il testo inoltre prevede misure molto rigide nei confronti delle ong che salvano naufraghi nel Mediterraneo. Applicato al caso dei 65 migranti ora a bordo della Sea Watch 3, il decreto sicurezza bis imporrebbe una multa salata all'organizzazione umanitaria pari a circa 350 mila euro.
Il vicepremier Luigi Di Maio ha replicato a Salvini con toni critici. “Credo che se si sta facendo un decreto bis è perché si è dimenticato qualcosa nel primo”, ha detto il vicepremier grillino, che ha invece rilanciato la necessità si concentrarsi sui rimpatri, uno degli obiettivi mancati del governo italiano, nonostante gli annunci del collega Salvini. “Bisogna fare di più – ha detto Di Maio – Presenteremo, con molta umiltà, delle proposte per favorire accordi di cooperazione allo sviluppo nel nord Africa e nell'Africa subsahariana per permettere i rimpatri nei paesi di provenienza”.
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