I concorsi di bellezza morale no, grazie

Giuliano Ferrara

Carola Rackete rischia assurdamente conseguenze di fatto e penali per aver scelto di fare la cosa giusta, ma idolatrarla con toni di sfida propagandistica è un cattivo servizio alla verità politica e umanitaria di quanto è accaduto

La buona battaglia va santificata, ma trasformarla in un concorso di bellezza morale, in un festival della virtù, non è una buona idea. La capitana della nave di soccorso è giustamente sugli scudi, visto che ha mostrato al Truce una bella faccia disubbidiente su una questione di pura giustizia e di puro senso comune, eppure sarebbe un guadagno netto, e non solo di stile, se capisse meglio le sue stesse legittime e belle ragioni. Ha fatto quello che chiunque dovrebbe fare nella sua situazione, prendere sulla sua imbarcazione della gente in pericolo e pretendere che sia sbarcata nel primo porto sicuro a disposizione. Esibire un senso di colpa occidentale, dicendo che è nata in una congiuntura fortunata e in un paese ricco, e per questo dà una mano ai diseredati della terra e del mare, ha inevitabilmente qualcosa di esibizionistico. Certe cose si spiegano da sé, se ostentate mettono in sospetto. In occidente è pieno di persone che si sentono frustrate, socialmente avvilite, emarginate, demoralizzate, impaurite e arrabbiate perché, e lo pensano più a torto che a ragione ma lo pensano, bella gente al comando s’incarica di missioni ad altissimo impatto carismatico, come la salvezza del pianeta e il riscatto dalla paura e dal pericolo di chi chiede accoglienza oltre una frontiera nazionale o europea, però trascura l’ansia della gente comune di qui e, peggio, gli fa la lezione. 

 

Non è vero che la capitana sia un simbolo negativo, al contrario. Carola Rackete rischia assurdamente conseguenze di fatto e penali, con i suoi compagni e la sua ong, per aver scelto la cosa giusta, e rivolgere contro di lei, non parliamo dei toni carogneschi della marmaglia, un generico malumore di tipo populista è grottesco. Tuttavia idolatrarla con toni di sfida propagandistica è un cattivo servizio alla verità politica e umanitaria di quanto è accaduto. Gli scrittori di Repubblica esprimono la generosità e la voglia di vincere uno scontro di immagine che fa tutt’uno con il senso di umanità, ma sanno come sappiamo tutti che se è indubitabile la bontà dello scopo della Sea Watch, è possibile dubitare della violazione di una frontiera, che il governo ordinato dell’immigrazione è diverso dallo sbandieramento di un diritto universale alla mobilità, che l’Italia si trova sovraesposta e insufficientemente coordinata con l’insieme dei paesi europei, e dunque l’assalto virtuista è insensato, c’è bisogno anche di ritegno e responsabilità nella spiegazione razionale del significato di certe decisioni. Lo sbarco di chi è stato raccolto in mare e sottratto al rischio di naufragio e di morte non è un affare di cuore e tantomeno di cuori ricchi che pulsano perché la loro stessa ricchezza li mette in grado di capire le cose che i cattivi non capiscono. Fosse così, la buona battaglia sarebbe già perduta. 

 

In America si è appena svolta una parata di candidati contro Trump, figura comica e anche bieca di narcisista del reality show. Si sono divisi tra socialisti in ritardo e umanitari antirazzisti, e l’effetto è molto debole, tanto più che l’unico tentativo di realismo è affidato a un vecchio politico di mestiere, Joe Biden, rassicurante ma piuttosto stanco e impacciato. Auguri, naturalmente, perché l’unico vero problema è trovare la quadratura del cerchio in un paese diviso tra atroce e depressiva insoddisfazione sociale e sperata efficacia di una economia di nuovo rampante a ritmi eccezionali. E la quadratura del cerchio è una leadership capace di battere il presidente uscente. Se questo è in fondo anche il problema italiano, dare forza all’alternativa di fronte a un governo di minacciosi mattocchi, il dispiegamento dei buoni sentimenti, che hanno in sé la loro giustificazione, è una premessa da non invalidare con l’ostentazione di una virtù percepita da sempre più consistenti maggioranze come un alibi per l’autoreferenzialità di élite altezzose e sicure di sé. 

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.