Spiaggiati sul Tevere
Nessuna traccia di Tiberis, la “spiaggia dei romani” (disse Raggi) e flop di una giunta senza ambizioni
Nell’agosto del 2018, a estate bella che iniziata, e dopo attese e rinvii, ecco a voi, e con inchino d’occasione, Tiberis: accessibile dalle 8 alle 20, tutti i giorni della settimana, insomma, la “spiaggia dei romani” – come la etichettò, con orgoglio, la sindaca. Sì, certo, spiaggia è un eufemismo, diciamo così, un ettaro di terreno – tra graminacee a culmo legnoso – attrezzato con ombrelloni, sdraio e lettini, docce e due campi da beach volley. E c’era – mi ricordo – anche un distributore di merendine e bevande protetto da telo ombreggiante bianco. Va bene, ci furono sfottò e polemiche, roba da cronaca estiva, e tuttavia coloro che presero a frequentare la spiaggia (pochi in verità) fecero notare che sì, è vero, Roma aveva altri e più gravi e cogenti problemi, vedi degrado di periferie e centro. Sì, è vero non era una spiaggia ancora a regime, ecco, si presentava un po’ raffazzonata, appunto, sai, spiaggia voleva dire anche bagno e lì la piscina non c’era. Se per questo nemmeno le aree gioco per bambini, e zone d’ombra, però dai, state sempre a critica’, ah rosiconi! Quindi i commenti erano tutto sommato favorevoli.
C’era il pentastellato orgoglioso: il difficile sta nel cominciare perciò chi ben comincia è a metà dell’opera! Grande Virginia, ottimo lavoro! A quello meno esaltato ma più possibilista: dai, anche se non è uno di quei successi da mettere nel curriculum, è un punto di partenza, si può migliorare e vedrete il prossimo anno, l’esperienza insegna, come sarà bella la Tiberis 2019. E difatti gli annunci erano nell’aria già da maggio. Tenevano vive le speranze, tipo: market allestito con la Coldiretti, l’area per i cani potenziata, i tornei di beach volley, e pure la tanto desiderata piscina fuori terra. Però mi sa che quest’anno, nisba. Almeno a giudicare dallo stato di avanzamento dei lavori. Cioè, avanzamento dei lavori è, ancora una volta, un eufemismo. La vegetazione spontanea, quella c’è, certo, ha la sua bellezza (per quelli come noi che prediligono alcune graminacee) ma di artificiale, cioè, qualcosa che testimoni l’impegno dell’uomo a migliorare il paesaggio, non c’è niente. Siamo ai primi di luglio, ed è tutto chiuso, sbarrato. Che lì c’era una spiaggia lo ricorda un cartello, che tra l’altro fa tristezza, attaccato com’è con quattro spaghi.
Poi sì, due rettangoli di terra sono visibili ma se ne stanno lì, ingobbiti. Se potessero parlare direbbero: non crediamo nemmeno noi alla nostra funzione di spiaggia. Ora, dal ponte Marconi, la vista dell’ex Tiberis, nonostante il sole, è spettrale. Quello che manca a questa giunta è uno degli elementi più importanti per amministrare: l’ambizione. Cioè, abbiamo er biondo Tevere, la città caput mundi, e allora diamo corda a quel certo modo di stare al mondo: mò ve la faccio vedere. A costo di risparmiare su altre cose, a costo di prendere fondi di qua e di là, voglio chiamare un archistar, pure un botanico che mi trasformi ’ste quattro cannucce in monocoltura permanente in un’oasi meravigliosa, insomma, non mi frega del degrado del centro e della periferia, una cosa voglio fare ma che sia una: lasciare ai romani una spiaggia come si deve.
Esageriamo senza paura: Tevere balneabile. Che Parigi con le sue spiagge sulla Senna si dovrà vergognare. Scusate, noi siamo quelli di onestà onestà? E allora, trasparenza unita ad ambizione, cambieremo le basi del Tevere, altro che un ettaro alla meno peggio. L’ambizione è necessaria. Anche perché il mondo è complesso, la vita è breve, e alla fine noi ci ricorderemo poche cose quando torneremo alle urne. Non tutte saranno oggettive e analizzate con rigore, quindi Spelacchio e magari pure ’sta spiaggia raffazzonata. Sì, fa un po’ rabbia questa politica del così così. Mi ricorda l’avarizia, e non solo di pensiero. Come quelli che invitano una ragazza in un ristorante per il primo appuntamento e poi dicono: facciamo a metà o prendiamo solo un antipastino che sto a dieta.
Mi fa rabbia anche perché a un certo punto ho fatto il tifo per la Raggi. Ebbene sì, quando l’ho vista, da sola, affrontare i bruti di Casal Bruciato e ho pensato, ecco un modo ambizioso e coraggioso di amministrare. E invece, un po’ è stata lasciata sola, un po’ è arrivata l’estate e il clima è da stessa spiaggia stesso mare. E l’ambizione? Dov’è? In fondo è quel sentimento che ti fa seguire la luce delle stelle, rischiando pure di essere gradassi, ma almeno si individua un obiettivo alto. E qui invece, in questa Roma pentastellata, finisce che vedi sì le stelle ma nemmeno sbatti le palpebre, abbassi la testa e continui col suppergiù, col così così, con il poi vediamo.
Politicamente corretto e panettone
L'immancabile ritorno di “Una poltrona per due” risveglia i wokisti indignati
Una luce dietro il rischio