S'abbatte la tangenziale. Qui muore l'utopia autostradale
Dopo vent’anni ecco il martello della Raggi. Dall’ecomostro aereo della Prenestina si lanciava Fantozzi per prendere l’autobus al volo. Dopo la demolizione nascerà un prato verde, ma non ci crede nessuno
Siamo qui che sfrecciamo tra via Merulana e Porta Maggiore a bordo di una Smart cabrio, dritti verso le rampe della Tangenziale est, l’ecomostro aereo romano che vanta innumerevoli tentativi di imitazione, immortalato in tante narrazioni e inseguimenti poliziotteschi ma soprattutto in Fantozzi, naturalmente, che proprio qui prendeva l’autobus al volo. Sarà smantellata lunedì, quando Virginia Raggi verrà a tagliare il nastro dei lavori attesi da vent’anni, subito annunciati come una “festa”, una “rinascita green”, con tanto di striscione davanti alla Stazione Tiburtina, “sarà il quartiere più bello di Roma!” e un post celebrativo della sindaca che gira da giorni su Instagram e sembra una canzone di Calcutta: “L’abbattimento della Tangenziale est”.
MM: Prime pagine, giornali, drammi. Faranno una highline, come a New York, oppure un grande parco urbano. Area verde, pedonale, ecoresponsabile. Si rischia l’isolamento geopolitico del Pigneto. Ma il dramma identitario è che diremo addio alla Tangenziale di Fantozzi. La Raggi, forse presa da raptus competitivo col ponte Morandi, vuole abbattere tutto. Tocca fare il sopralluogo.
Vanta innumerevoli tentativi di imitazione, immortalata in varie narrazioni e inseguimenti poliziotteschi. E pure in Fantozzi
MM: I palazzi però non sono neanche male, è tutto un “vendesi” e “affittasi”, come cantava il Poeta. Gli annunci sottolineano “stabile signorile attico luminoso”, tra un ferramenta che si chiama “Tabula Rasa”, pompe funebri varie, “Pizzologia” e “Maurizia caffè” con slot machine. I cartelli enfatizzano soprattutto la vista “non lato sopraelevata”. Insomma lo odiano tutti questo mammozzone sorto con tortuosa genesi: doveva collegare Roma nord e Roma sud, sogno impossibile.
AM: Dopo lo “sbocco al mare”, l’utopia anni Settanta dello sbocco a Roma Nord; solo che oggi è più facile andare a fare il bagno a Ostia che arrivare a Batteria Nomentana. Prendi l’uscita di Viale Castrense, un’inspiegabile strettoia collocata nel punto di massimo accesso. Nei miei ricordi d’infanzia della Tangenziale sono sempre lì in macchina, seduto dietro, con mia madre al volante che smadonna e dice che non arriveremo mai; siamo intrappolati nella strettoia, tutti in fila nell’imbuto, io guardo fuori dal finestrino come si guarda un dirupo in quelle scene dei film americani con le auto sospese su ponti o pareti rocciose, perché sulla Tangenziale Est non potevi muoverti, né prendere una stradina contromano o tirare fuori il fazzoletto e infilarti in una corsia di emergenza strombazzando il clacson. Ti potevi solo butta’ di sotto.
MM: All’epoca del progetto avevano messo in mezzo pure Kenzo Tange, alcuni urbanisti maniaci la chiamano infatti Tangenziale in omaggio a quel che resta dei disegni del grande architetto giapponese, “la Tange” come poi diciamo noi a Brescia. E “est” che non si sa se si intenda l’Asia e il Giappone, oppure Roma est. Quando c’è di mezzo l’urbanistica, a Roma si finisce sempre nell’esoterico-psicanalitico, come il Gra che si chiama Gra per l’ingegner Gra. Ma quello ha sempre funzionato, anche psicologicamente. Girare in tondo è ok. Per attraversarla, Roma, partono invece le difficoltà. “Quando si andava a trovare un amico a San Giovanni, la telefonata d’obbligo era: ‘prendo la tangenziale, nun m’aspettà”, ha ricordato Enrico Vanzina sul Messaggero. Incomunicabilità, lapsus: il progetto originario prevedeva un Sistema direzionale orientale, che collegava Roma nord e Roma sud, l’Eur e Ponte Milvio. Utopia autostradale. Infatti il progetto ha visto vent’anni di studi per costruirla e altri venti per buttarla giù. L’abbattimento, dice la Raggi, costerà 7 milioni e 600 mila euro stanziati e “durerà 450 giorni di lavoro. Divisi in dodici fasi” (forse lunari). Pare ambiziosa come tempistica, visto che per riaprire una stazione della metropolitana ci hanno messo un anno.
Nei miei ricordi d’infanzia sono sempre lì in macchina, seduto dietro, con mia madre al volante che smadonna. In trappola
AM: Nulla si riapre, tutto si abbatte, ma almeno – per ora – non c’è di mezzo l’archistar, un altro Kenzo Tange messo in mezzo con l’urbanistica partecipata, l’orto stradale e l’infiorata della Tangenziale. Kenzo Tange, porello, l’hanno fregato pure a Catania, col “Librino”. L’aveva progettato come un sistema di anelli concentrici, strade futuriste, nuclei residenziali ipertecnologici, insomma una “new town”, solo che non stavamo in Sudafrica o in Nuova Zelanda ma in Sicilia, e il passaggio da “new town” a “degrado” è già scritto. Librino è come le Vele a Scampia, lo Zen a Palermo, Corviale a Roma. Un fulgido esempio di una tecnica italiana raffinatissima, consolidata: si contatta l’archistar, si fa la conferenza stampa, lui porta il disegno, grandi pacche sulle spalla, scriviamo Kenzo Tange dappertutto, poi arrivano la banda, il sindaco, l’assessore, parte l’inno di Mameli, una gran festa; poi si spengono i riflettori e famo-come-ce-pare; la palla passa ai geometri, si chiede un bell’aumento di cubatura, i lavori si bloccano, nel frattempo si può costruire intorno un complesso residenziale, una sfilza di “palazzine Kenzo Tange”; come con Rem Koolhaas agli ex mercati generali di Ostiense, ti ricordi? Doveva diventare la “città dei giovani”, dovevamo farci er “centro hi-tech”, e a Roma quando parte “l’hi-tech” c’è sempre la sòla. Come dice un mio amico architetto: “Tutti cercano di rifare la commedia all’italiana, ma la commedia all’italiana è finita nell’urbanistica”.
“Un’attesa lunga vent’anni e che ora è giunta a conclusione”, ha detto la sindaca Virginia Raggi (LaPresse)
MM: “Sono un innamorato di Roma, che ho visitato almeno 150 volte dopo la guerra”, scriveva accorato Tange nel 1989, trent’anni fa. “Ma so anche che così com’è oggi la città è destinata a morire. Non c’è più tempo da perdere”. Tange sulla Tangenziale sarebbe un bell’episodio di un ennesimo film su Roma. Ma nel 1989 le grandi speranze erano già spostate su un altro quartiere e un’altra stazione, Ostiense. Altra grande incompiuta, da Italia Novanta a Italo finalmente a Eataly (perché, come dicevano nel compianto “Boris”, solo la ristorazione è una cosa seria in Italia). Intanto eccoci su sulla sopraelevata, si vede il bel palazzo Bnl, “Orizzonte Europa”, che risplende nel sole tiburtino. Fatto nel 2017 dallo studio 5 +1AA, vincitore di numerosi premi, posto accanto alla stazione Tiburtina, bella pure lei, doveva essere anche questa l’ennesima “nuova Roma”: in rete si trova pure un Ted Talk sulla Tiburtina Valley, “uno dei luoghi più innovativi d’Europa”, dove “si incontrano innovatori e scienziati”. “E’ un investimento anche sulle potenzialità e sul futuro della nostra capitale di cui Roma ha bisogno e tutti noi dobbiamo collaborare” dice il presidente del consiglio Paolo Gentiloni inaugurando il complesso due anni fa. Ma già un anno dopo: “Tiburtina, il grande flop: sognava la Silicon Valley, ma è diventata la discarica di uomini senza futuro”, titola inclemente la Stampa. “Viaggio nella periferia di Roma tra mercati a cielo aperto di sesso, droga e oro. Fabbriche che dovevano trainare lo sviluppo ridotte ad accampamenti al di fuori della legalità”. Gli archi della sopraelevata diventano rifugio per poveracci e rifugiati, sorge il centro Baobab, che viene poi sgomberato. La stazione oggi però è bella ed efficiente, abbastanza vuota, perché se l’idea originaria era di spostare qui tutti i treni ad alta velocità. Naturalmente non se n’è fatto niente.
Quando c’è di mezzo l’urbanistica, a Roma si finisce sempre nell’esoterico, nello psicanalitico, come il “Gra”
AM: Però da Tiburtina risparmi un quarto d’ora per andare a Milano. Si può lavorare a Milano e vivere al Tiburtino, come quelli che vivono a Milano e lavorano in Svizzera.
MM: Questo sarebbe un bellissimo quartiere di Milano: South of Centrale, SOCE, o North of Soprelevata, NOSO (anche come intercalare: dove abiti? “Noo soo”), se ci fossero dei developer in gamba anche col naming. Passeggiando fuori dalla stazione ecco vie molto simpatiche con comprensori da Garbatella pre-gentrificata. E poi mammozzoni nuovi come questa “Città del sole”, nuova edificazione molto moderna, già vincitrice del “Mattone d’oro”, informa il cartello. Con vista sul Verano. E lì scendiamo a vedere un po’ di paese reale, ci sono le fioraie, i banchi hanno nomi femminili e un numero, tipo “Mariangela e Anna al 61”, tra i cassamortari. Vige un raro regime di concorrenza perfetta, e le signore fioriste si buttano sui rari passanti “dai, viè ffori!”, si fermano famiglie a comprare fiori per pòra nonna. Le signore del banco 61 sono molto contrarie all’abbattimento della sopraelevata. “Ma che c’è bisogno de verde?” – dice una. “Guarda quanto ce n’è”, e indica effettivamente un bellissimo prato accanto alla sua bancherella, e poi un altro. I prati sono devastati, con piccioni morti e agonizzanti, e alberi caduti. “Aho, guarda ’sto tronco!”, e indica un albero cascato in qualche nubifragio recente. “Er banco mio arrivava fino a lì, ho rischiato de morì”. E insomma il senso più che altro è: curassero il verde che c’è. C’è anche un certo conservatorismo. “Le cose belle nun s’abbattono! Se buttassero loro dalla soprelevata!”. Davanti all’ingresso del Verano c’è un altro parco enorme, secchissimo, con un campo da beach volley. Entriamo al cimitero deserto, facciamo vari giri, andiamo su all’Altipiano – il Verano, una vera città, con quartieri e divisioni molto rigide di classe, ha anche il suo reparto archistar: ecco la cappella neorinascimentale con travertino e mattoni rossi, tomba di famiglia di Gaetano Koch, poi quella della famiglia Passarelli; c’è da qualche parte la tomba di Giancarlo Giammetti, recentemente profanata da ladri di rame interessati al tetto.
Tra sopravie e sottovie sembra la Los Angeles dei poveri. Ma chi è cresciuto qui non abbia paura: il pezzo più brutto e invasivo rimarrà in piedi
AM: Poco più avanti, eccoci all’edicola nel piazzale davanti la stazione Tiburtina, incastonata tra i piloni grigi della Tangenziale, qui dove partono i pullman diretti verso gli Abruzzi, non a caso in bella mostra tra i libri c’è “Mussolini prigioniero al Gran Sasso”, solo un filo ingiallito. E’ l’edicola “De Santis”, “aho è famosa, stamo qui da vent’anni”, spiega subito il proprietario. Diciamo che siamo giornalisti, che scriviamo sul Foglio, che vorremmo fargli delle domande, intanto chiediamo anche una copia del giornale, ma lui ci spiazza: “Ce scrivo pure io sul Foglio”. Sgomento. Un collega? Di cosa si occupa? Un cronista? “Ecco vedi, c’ho scritto ’na cosa qui sopra, anzi scusa”, dice indicando una serie di numeri buttati giù a penna sul dorso del giornale, cioè calcoli di vendite e consegne. “Ah, va bene, non si preoccupi”. Cosa ne pensa dell’“abbattimento della Tangenziale”? “Guarda a me basta che non me casca in testa”, dice, “però se ’na cosa l’hai fatta la devi tene’, certo bella nun è stata mai, la possono buttare pure giù, ma per fare che? Dove finiscono tutte ’ste macchine che me passano sopra? Un’area verde? N’altra? Le aree verdi a Roma diventano solo posti per pisciare all’aperto, e qui puzza di piscio ce n’è già tanta”. Sul tema sentiamo quindi anche un homeless che se ne sta accampato sotto i piloni della Tangenziale, poco distante dall’edicola (anche se precisa subito, “io sto qui ma c’ho casa mia eh”); il senzatetto è invece ben contento dell’arrivo del verde, dice anche che “l’altro giorno è venuta la Raggi coi pasticcini” per festeggiare l’abbattimento ormai imminente, perché “qui è tutto uno schifo, pisciano, cagano, c’è ’na puzza, almeno col verde cambia un po’ l’aria, ma poi lo faranno ‘sto verde?” c’è questo piscio che ritorna, anche tra opinioni divergenti.
Ti ricordi gli ex mercati generali di Ostiense? Dovevano farci er “centro hi-tech”, ma qui quando parte “l’hi-tech” c’è sempre la sòla
MM: Accanto all’edicola il solito strillo di “Tutticoncorsi” che tra i vari annunci promette trecento posti di giardinieri al comune di Roma; ed effettivamente qualcosa si dovrà fare contro la wilderness arrembante romana, con alberi e arbusti scatenati che stanno invadendo la città, oltre ai parchi enormi e abbandonati. Forse è troppo tutto questo verde, diciamocelo. O troviamo una destinazione. Si potrebbe per esempio fare un parco a tema – ovviamente partecipato e aperto – per il pissing all’aperto. Si potrebbero aumentare i collegamenti con le terme di Fiuggi e creare un’intera filiera, per un certo tipo di turismo. Del resto Roma ha in questo campo un expertise senza rivali. Non solo camminando per il centro oggi, c’è già tutto nel marchese del Grillo, quando lui porta la sua cantante francese ai Fori e glieli spiega. “Affari, mercato, cultura, tribunale, indovini, senatori, sacerdoti, mignotte”, ecco quello che facevano qui, spiega lui. A lei però scappa la pipì. “Falla ’ndo te pare, qui è tutto ’n vespasiano”. Altro grande testimonial a chilometri zero potrebbe essere il primo presidente del Consiglio italiano, il mio conterraneo Giuseppe Zanardelli, quello che fece erigere il Vittoriano coi marmi bresciani e che, dicono gli esperti, coltivava questa passione con delle signore incitandole (“pissa pissa bella gioia”). Insolera nel suo “Roma moderna” però non ne parla.
AM: Non mi pare. Resta il fatto che a Roma la retorica del “green” non attacca, anche perché è già la città più verde d’Europa (3.932 ettari dentro il tessuto urbano), la città che se ti sbagli strada finisci inghiottito nella giungla, la città con gli arbusti e le piante che crescono selvagge tra i monumenti, i marciapiedi e si infilano tra i sampietrini, come nelle incisioni di Piranesi; un vasto “bosco orizzontale” coi picchi e i pappagallini verdi sugli alberi dietro il Colosseo e forse i coccodrilli nelle paludi del Tevere, lasciando stare gabbiani, sorci, cinghiali. Altro che “rinascita green” della Raggi. Se dopo vent’anni decidono di buttare giù cinquecento metri di Tangenziale Est, forse sarà perché proprio quest’anno, Ferrovie delle Stato ha messo in vendita “una vasta area adiacente la stazione Tiburtina”, con 12.000 mq a “destinazione uso ricettivo” (cioè albergo) e 7.2000 mq a “destinazione commerciale” (cioè parcheggi a raso e negozi); prezzo base dell’asta: 32 milioni di euro; poi certo sarà tutto parte del Piano di Rinascita Tiburtino, ma vuoi mettere quanto è più bello l’albergo senza la Tangenziale che gli passa dentro? Non siamo mica a Milano, il “post-industrial” non attacca.
Potrebbe chiamarsi South of Centrale, SOCE, o North of Sopraelevata, NOSO (anche come intercalare: dove abiti? “Noo soo”)
MM: Però nella stazione Tiburtina, nell’atrio deserto sorvegliato da Alpini, ecco su una parete inciso a perenne monito il discorso di Cavour del 25 marzo 1861, quello davanti alla Camera riunita – a Torino – che proclamava Roma capitale d’Italia. “La questione della capitale non si scioglie, o signori, per ragioni né di clima, né di topografia, neanche per ragioni strategiche”. “La scelta della capitale è determinata da grandi ragioni morali”. “In Roma concorrono tutte le circostanze storiche, intellettuali, morali che devono determinare le condizioni della capitale di un grande stato”. Miao!
AM: Vabbè, almeno Cavour s’è risparmiato i No Tav sotto casa.
MM Ma noi a Roma avevamo i “No TANG” quando a Torino c’era ancora Agnelli. Già dai primi anni Ottanta. Poi sulla sopraelevata si sono sempre accaniti tutti. Nel 2012 Alemanno voleva distruggerla per farci un orto urbano come a New York (ma c’era stata anche la lettera aperta a Veltroni del gruppo di Rinascita Tiburtina per farla diventare un bioparco); sul fronte opposto però c’è il gruppo amicidelmostro.org, auspicano che “la vecchia sopraelevata sia trasformata in un bioparco: in una passeggiata pedonale verde unica in tutta Roma, sospesa sopra il caotico traffico metropolitano. Lo hanno fatto a Parigi, con la Promenade Plantée; lo stanno facendo a New York, con la Highline; “Quello che oggi ci appare come un mostro potrebbe diventare il grande amico di domani: un grande sentiero verde, solo per i pedoni, sulla quale camminare, correre, giocare, incontrarsi”, insomma, come il ponte Morandi da vivere e amare. Ma anche “lo amano, lo usano, lo curano”, detto da Manuel Fantoni a proposito del corpo, da parte degli americani – e non degli italiani cerebrali. Però gli americani con la Highline hanno fatto soprattutto una furbata, è una passerella per mostrare i nuovi palazzi delle varie archistar, da Zaha Hadid in giù, come un open house astuta e costante, in cui passi di lì e vedi gli interni, le metrature, gli abitanti più o meno vip, anche nei bagni, con un gusto un po’ da voyeur. Qui vedi le tombe del Verano, e alla fine, perché no. Il genius loci romano del resto è mortifero, si sa.
Fu costruita in piena Guerra fredda, e doveva servire anche come via di fuga strategica, e dunque è in grado di resistere ai cingolati
AM: Mortifero come il “Borghese piccolo piccolo” di Monicelli, con Alberto Sordi alla guida di una Fiat 500 Giardinetta che forza il blocco dei lavori per la costruzione della Tangenziale (eravamo nel ‘77, si completava il tratto viale Castrense-Ponte Lanciani); un altro film perfetto (grigio, mortifero, cupissimo) per questo pezzo di Roma post-industriale, fitto di “arterie fondamentali”.
MM: Qui c’era effettivamente il boom che scoppiava, c’erano anche le zone industriali della città, prima di imboccare la Prenestina e raggiungere il fatale Pigneto ecco questo palazzone candido che era il Pastificio Pantanella, eretto nel ’29 da Michele Pantanella, arrivato nella capitale dalla Ciociaria, comincia con lo street food a Porta Maggiore e poi si allarga, mette su il primo pastificio europeo. L’impero del glutine di Pantanella invece che ingrandirsi e diventare una Barilla romana però dopo un po’ chiude, e il mulino trasformato in incerto palazzo d’appartamenti. Anche lì, gentrification malriuscita romana, nel Pantanella district ci sono soprattutto Bingo e centri di slot machine, non è mai decollato. Potrebbe essere la nostra fondazione Prada, col torrione glutinato al posto di quello di Koolhaas. Va meglio, invece, la Gentilini dei biscotti identitari, più su, sempre sulla Tiburtina – l’erede, Paolo Gentilini, ha lanciato qualche tempo fa un accorato appello proprio su questo giornale per risistemare un po’ la città. Il suo sogno sarebbe andare al lavoro coi mezzi pubblici, e vedere tappate le “famigerate buche”. “Sui marciapiedi nuovi”, dice Gentilini, “sono già stati solidamente piantati pali metallici abusivi che reggono cartelli abusivi, con però tanto di numero di telefono indicato per affittare lo spazio pubblicitario. Il primo che arriva fa come vuole e pianta il suo cartello”. Insomma la Gluten Valley romana ha un po’ lo spirito della frontiera del vecchio west americano. Manca solo il silicio, o il silicone, come scrivono tanti.
Al Verano le signore del banco 61 sono contrarie all’abbattimento della sopraelevata. “Ma che c’è bisogno de verde?”
AM: Ma quindi che ne sarà di questa Tangenziale? Sfiniti dai dibattiti chiediamo infine a un esperto. Gabriele Mastrigli, architetto e docente di Teoria e progettazione architettonica a Camerino, ci spiega: “In realtà l’unico tratto che verrà abbattuto è quello che porta alla stazione Tiburtina, sono solo cinquecento metri”. Ma dunque la Prenestina è salva! Fantozzi è salvo! Continueremo a farci i selfie sotto il balcone dell’autobus-al-volo. “Certo. Non possono assolutamente abbattere il resto, perché la città rimarrebbe tagliata in due”, dice l’architetto. Insomma il pezzo davvero brutto e invasivo rimarrà, tutto rimarrà in pratica così com’è.
MM: Ma non è pericolante? Qualcuno dice che perde calcinacci.
AM: L’architetto dice che “al contrario è molto solida. “Certo bella non è”, riflette malinconico Mastrigli, ma è solida. Erano gli anni dopo le Olimpiadi a Roma e l’esempio era quello di Pierluigi Nervi e del viadotto di Corso Francia, ma qui diciamo che l’eleganza non è la stessa. Però fu costruita in piena Guerra fredda, e doveva servire anche come via di fuga strategica, e dunque è in grado di resistere anche al passaggio di cingolati”. Altro che Ponte Morandi, insomma. La Tange durerà per sempre. O forse i progettisti avevano già previsto il cingolato come unico mezzo per circolare oggi a Roma; col cingolato in tangenziale andiamo a comandare.
generazione ansiosa