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Per l'anniversario del Morandi Renzo Piano dirige il Secolo XIX

Fabiana Giacomotti

Per i quotidiani nazionali si tratta di una prima assoluta. Ma all’estero è una moda, e vende

Milano/Stresa. In occasione dell’anniversario del crollo del Ponte Morandi sul Polcevera, oggi, 14 agosto, il Secolo XIX viene “guest edited” da Renzo Piano, architetto di fama mondiale (respingiamo la definizione di archistar perché assomiglia ad apericena e a tutte quelle crasi stupide che vanno per la maggiore). Non è un’operazione motu proprio come il progetto del viadotto che, sull’onda dell’emozione e delle sue origini di “polceverino”, Piano offrì alle istituzioni già due settimane dopo il disastro e che successivamente ha superato una regolare gara: è stato invitato a ideare quelle 25 pagine di sfoglio dedicato, prima pagina compresa, dal direttore Luca Ubaldeschi. Per i quotidiani nazionali si tratta di una prima assoluta. Il guest editing è prassi non consueta ma praticata nei periodici, vedi l’ultimo numero di Vogue UK schiacciato dalle polemiche per le scelte un po’ superficiali di Meghan Markle (in copertina fra le “donne che stanno cambiando il mondo” compaiono solo celebrities e fenomeni dell’attivismo climatico tipo Greta Thunberg), in tempi lontani un numero di Grazia diretto da Giorgio Armani o, per consuetudine ormai storica, lo stesso mensile Domus che per primo ha pubblicato il progetto di Piano. Si basa sulla fiducia totale fra il titolare, anche penale, dei contenuti del giornale, cioè il direttore responsabile, e il direttore invitato. In cambio, come sostiene una dettagliata “guida al guest editing” della casa editrice tecnico-scientifica Elsevier, che di scienziati disposti a firmare uno o più numeri delle sue riviste vive, la scelta porta vantaggi non indifferenti. Li elenchiamo, in traduzione: “Distribuzione aumentata; contenuti speciali; maggior numero di citazioni”, e infatti eccoci qui a scriverne.

 

L’editore del Secolo XIX, il gruppo Gedi cioè Repubblica, ha deciso un aumento di tiratura del 15 per cento, che per il quotidiano, 51.206 copie stampate a giugno secondo gli ultimi dati Ads, significa avvicinarsi a quota 60 mila e soprattutto capitalizzare sul ritorno mediatico, pubblicitario e collezionistico dell’operazione. In tempi di crisi profonda per tutta la stampa europea, ma anche d’Oltreoceano (il crollo del modello di consumo reale e magnificante dei department stores e dei centri commerciali sta deflagrando anche sui mensili ad alto target e i quotidiani), una mossa molto coraggiosa, sebbene nel caso del quotidiano genovese non vi siano dubbi, e non si sa se rallegrarsi o meno a scriverlo, che il crollo del ponte e il dibattito politico-economico che ne è seguito, oltre alla cronaca sulla vita degli sfollati, abbiano garantito una sostanziale tenuta diffusionale dopo anni di progressiva erosione.

 

“Nei momenti importanti, si torna a fidarsi dei giornali”, osserva il tenacissimo Ubaldeschi, che a quanto pare è stato sedotto, come tutta la redazione, dalla capacità molto genovese di Piano di imporre le proprie scelte, un numero speciale e non un inserto per esempio, e nessuna sovraccoperta ma una vera prima pagina, continuando a schermirsi sulla propria inesperienza come giornalista.

 

A Napoli, la tecnica ha una definizione precisa, pop e geniale come l’architetto che, alla riunione di redazione, si è presentato con una cartina dell’Europa “comprensiva del Mediterraneo”, disegnandovi via via una serie di cerchi concentrici da cui è risultato evidente che la Lanterna sia il faro dell’intero continente. Per una città così profondamente ferita, che da un anno vive in una situazione di continua emergenza sentendosi ai margini della stessa macro-regione che ha contribuito a plasmare nei secoli, l’idea è stata galvanizzante. Si sono accodati tutti, da Antonio Ricci a Maurizio Maggiani, da Antonio Scurati a Massimo Sestini con uno dei suoi reportage. Il guest editing ben gestito “aiuta ad esaminare aspetti poco noti di un dato problema e favorisce lo scambio di prospettive”, sostiene ancora la guida di Elsevier. Non tocca, però, un aspetto molto significativo della questione, che attiene al momento storico-sociale e non alla gestione dell’opportunità in vitro, e cioè l’annullamento progressivo di quella visione dogmatica delle competenze e delle specificità che domina l’industria e le professioni da quasi un millennio, in pratica dai tempi delle gilde, e che si è polarizzato a cavallo fra l’Otto e il Novecento.

 

La tendenza alla collaborazione, allo scambio fra competenze diverse, è ormai un dato acquisito nella moda e nel design (due per tutti, Rihanna e Virgil Abloh), favorito dal marketing, quasi sempre premiato dalle vendite, e avvalora l’idea, molto rinascimentale, del “multiforme ingegno”. Presuppone solo che ingegno e competenza ci siano.

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