Lo sgombero via Cardinal Capranica (foto LaPresse)

Anche a Roma sta iniziando l'era rosso-gialla

Samuele Maccolini

Prove di intesa tra l'amministrazione grillina e la regione Lazio a guida Pd. Bloccato lo sgombero di Tor Marancia

La fine dell'esperienza gialloverde e il riavvicinamento tra Partito democratico e Movimento 5 stelle in vista di un, sempre più probabile, esecutivo comune è foriero di inedite convergenze, non solo politiche, ma persino ideali, anche sul piano locale. Negli ultimi mesi, com'è noto, l'amministrazione romana guidata dalla sindaca Virginia Raggi è stata protagonista di un susseguirsi di sgomberi. L'ultimo, con tutto il clamore mediatico che ne è conseguito, è stato quello dell'ex scuola di via Cardinal Capranica. Prima era toccato a via Carlo Felice, poi è stata la volta dell'Ex Penicillina, di via Raffaele Costi e infine il Baobab. La Raggi, inoltre, si era anche impegnata personalmente per far rimuovere l'insegna abusiva dalla sede occupata di CasaPound, annunciando che “ora il palazzo va sgomberato”. Ma con nuove alleanze alle porte, anche tendenze sviluppate in lunghi mesi di amministrazione possono smorzarsi. Il caso è quello di Tor Marancia. Ieri a Roma un vertice tra prefettura, forze dell'ordine, regione Lazio (guidata dal Pd) e comune di Roma (guidato dal M5s) ha rinviato lo sgombero dei due palazzi di viale del Caravaggio, dove dal 2013 vivono circa 400 persone tra cui un'ottantina di minori. Il complesso, situato nel popolare quartiere di Tor Marancia, era una priorità per la prefettura, che lo aveva messo in cima alla lista, pubblicata a luglio, dei 25 sgomberi da effettuare a Roma nel giro di qualche anno. Le forze dell'ordine sarebbero dovute intervenire in questi giorni, visto che quello di Tor Marancia era uno dei due edifici da liberare in via prioritaria. Ma la decisione del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza ora supera il precedente piano della prefettura, inaugurando una nuova stagione post Salvini e post Decreto Sicurezza. Tolto di mezzo il ministro dell'Interno, l'amministrazione grillina di Virginia Raggi batte il primo chiodo sul nuovo asse condiviso con la regione Lazio – a guida Pd.

 

La posizione sugli sgomberi dell’assessore alle Politiche abitative della Regione Lazio, Massimiliano Valeriani, è stata fin da subito molto chiara. Si può riassumere in una recente intervista al Corriere della Sera, in cui l'assessore chiedeva il blocco della linea del Viminale sulle case occupate. La posizione del comune di Roma invece è rimasta ambigua fino a oggi.

 

Il 9 agosto il Campidoglio aveva approvato una delibera per stabilire un contributo economico di 516 euro per 4 anni alle famiglie in condizione di fragilità. L'assessore, la grillina Rosalba Castiglione, aveva anche affermato di avere degli immobili privati pronti ad accogliere gli sfollati. In una riunione di pochi giorni fa tra alcuni assessori comunali, i sindacati e i movimenti di lotta per la casa, l'amministrazione era stata abbastanza elusiva sul futuro dello stabile di Tor Marancia, forse in attesa di avere indicazioni più chiare dal governo. Infine, la scelta di accogliere le istanze della regione, mentre dai piani alti del governo giungeva la disponibilità a sostenere nuove politiche abitative a Roma.

 

L'accordo Pd-M5s, visto dalla capitale, sembra cosa già fatta. Ciò ovviamente non risolve l'emergenza abitativa nella capitale, dove la presenza di stabili occupati è cospicua, quantificabile in una novantina di edifici.

 

La sindaca Raggi, a quanto pare, non segue una vera e propria logica nell'affrontare le istanze abitative: agisce di emergenza in emergenza, senza impostare una piano strutturato. L'ultimo esempio fallimentare è quello degli sfollati dell'ex scuola di via Cardinal Capranica, sgomberati a metà luglio dopo una decina di ore di assedio da parte delle forze dell'ordine. Una cinquantina di persone ora vivono all'interno del centro d'accoglienza di Tor Vergata. La delibera indicava il 15 agosto come data ultima prima di trovare un luogo più consono. Ma le famiglie sono ancora là, in regime di proroga, a venti euro al giorno. Dopo lo sgombero la sindaca aveva rassicurato gli occupanti dicendo che sarebbe stato offerto loro “un percorso personalizzato di inclusione per portarli un giorno all’autonomia”. Ma tutt'ora il Campidoglio non ha in mente un progetto concreto per queste famiglie.

 

“La posizione dell'amministrazione non è mai univoca. Quello che si cerca di fare è scaricare il barile, senza addossarsi le responsabilità”, dice Massimiliano Tonelli, uno dei fondatori del blog Roma Fa Schifo. “Affrontare la situazione vuol dire avere alle spalle un sistema di servizi, assistenti sociali e quant'altro che sia efficace. Roma questo non ce l'ha. Come non funzionano i mezzi pubblici, la raccolta dei rifiuti e il resto, anche la gestione delle persone in difficoltà viene improvvisata”.

 

Il Campidoglio però ora ha la possibilità di ripulirsi dalle critiche, mettendo in atto dei provvedimenti concreti per far fronte all'emergenza abitativa. Il nuovo asse comune-regione può sbloccare un'ingente quantità di denaro pubblico, che attende da diversi anni di essere speso. Ci sono 200 milioni da utilizzare per l'edilizia popolare deliberati dalla regione, su cui il comune aveva aperto una vertenza per poter decidere come spendere la somma in modo autonomo, lontano dalle pressioni della giunta regionale. Con il riavvicinamento dell'amministrazione locale alla regione Lazio si apre uno piccolo spiraglio per mettere fine alla trattativa. 200 milioni non sono molti, ma sarebbe comunque un, seppur vago, accenno a una conversione delle politiche emergenziali messe fin ora in atto, a un piano strutturale di contenimento delle istanze abitative. Sempre che la sindaca Raggi non si lasci tentare dai vecchi – ma non troppo – istinti che trovavano nelle ruspe di Salvini l'iconografia più sincera. Magari dando il via al tanto ventilato sgombero della sede di CasaPound in via Napoleone III. L'ultimo di una lunga serie di sgomberi, che certo non hanno risolto i mali endemici della capitale.

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