Parlateci di quello che dicono (veramente) i dati del tribunale dei minori su Bibbiano
Per alcuni le indiscrezioni sull'indagine fatta per verificare la regolarità dei provvedimenti adottati dai giudici sulle richieste di affido della Val d’Enza, dimostrano che il sistema era sano. Invece dovrebbero allarmare
Mercoledì l’edizione bolognese di Repubblica ha riportato i risultati di un’indagine interna realizzata dal tribunale dei minori di Bologna dopo lo scandalo di Bibbiano, volta a verificare la regolarità dei provvedimenti adottati dai giudici sulle richieste di affido per minori della Val d’Enza nei mesi precedenti all’inchiesta. Dalla verifica non sarebbero emerse anomalie, come sarebbe stato comunicato dal presidente del tribunale Giuseppe Spadaro ai responsabili dei servizi sociali della province di Reggio Emilia durante una riunione tenutasi lo scorso 13 settembre: su un centinaio di segnalazioni dei servizi di Bibbiano con i quali si prospettava l’allontanamento dei bambini dalle famiglie, in 85 casi il tribunale avrebbe deciso diversamente, ossia di lasciare i ragazzini tra le mura domestiche (in alcuni casi chiedendo l’affido esplorativo, cioè il sostegno temporaneo degli assistenti sociali), mentre in 15 casi i giudici avrebbero accolto la richiesta di allontanamento.
Come ogni altra notizia che riguarda la vicenda di Bibbiano, anche questa ha ricevuto grande enfasi sugli organi di informazione ed è stata immediatamente strumentalizzata dal mondo politico: da una parte c’è chi sostiene che dai risultati dell’indagine emergerebbe l’inesistenza del “sistema Bibbiano”, dall’altra c’è chi invece afferma che i dati confermerebbero la presenza di un “sistema” illecito messo in piedi soprattutto dai servizi sociali.
L’indagine interna compiuta dal tribunale dei minori di Bologna, in realtà, aiuta ben poco a capire se attorno alle richieste di affido per minori siano state commesse irregolarità anche dai giudici. Lo studio, infatti, non è stato reso noto e sono stati diffusi solo alcuni risultati parziali, peraltro ottenuti in via indiretta. I dati, inoltre, non sono molto chiari: non si conosce il criterio con cui i cento fascicoli sono stati selezionati, non si conosce il periodo esatto a cui si riferiscono, non si sa se il campione include anche i casi dei dieci bambini finiti al centro dell’indagine di Bibbiano, e infine non si conosce la composizione dei collegi di giudici che hanno accolto le richieste di allontanamento. Insomma, la notizia dell’indagine sembra più finalizzata a difendere in maniera generica l’operato del tribunale dei minori, finito nell’occhio del ciclone con l’accusa di aver assecondato le richieste ingiustificate di allontanamento dei bambini dalle proprie famiglie, piuttosto che a chiarire ciò che è veramente accaduto negli ultimi anni in Val d’Enza.
Così, gli interrogativi sull’accondiscendenza con cui la magistratura ha accolto le richieste di allontanamento dei minori, che in molti casi sarebbero state fondate su abusi inesistenti, rimangono attuali. L’indagine interna del tribunale, inoltre, nulla dice sul vero “sistema” che sembra muoversi intorno ai casi di presunti abusi su minori, vale a dire la rete di psicologi, assistenti sociali ed educatori che si rifanno alla metodologia – dal taglio inquisitorio e non riconosciuta dalla comunità scientifica – del Cismai (Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l’abuso all’infanzia).
In passato abbiamo fatto notare come siano stati proprio gli affiliati al Cismai a svolgere le perizie su cui si sono basati numerosi processi per accuse di abusi su minori poi clamorosamente smentite: Angela Lucanto, i “Diavoli della Basse modenese”, Rignano Flaminio, ma anche casi meno noti sparsi per tutto il territorio nazionale (Biella, Pisa, Arezzo, Cagliari, Salerno). Alle idee del Cismai si rifanno anche i professionisti al centro dell’inchiesta di Reggio Emilia, come Claudio Foti. Abbiamo anche rivelato che il Consiglio superiore della magistratura e la Scuola superiore della magistratura hanno promosso per diversi anni corsi di formazione per magistrati incentrati sulla metodologia del Cismai, affidando alcune lezioni direttamente a Foti e a Gloria Soavi (presidente dell’associazione). Il Csm e la Scuola non hanno mai fornito chiarimenti sul perché abbiano deciso di aprire le porte a una metodologia non riconosciuta dalla comunità scientifica, permettendo ai magistrati di formarsi su questo approccio.
Ecco allora che, anche ammettendo il corretto operato dei magistrati, i confusi dati forniti dal tribunale dei minori di Bologna rischiano di assumere un altro significato: se è vero che in 85 casi su 100 le richieste di allontanamento sono state rigettate dal tribunale, ciò significa che in addirittura l’85 per cento dei casi gli assistenti sociali hanno chiesto l’allontanamento dei minori senza che vi fossero reali esigenze. Dovremmo concluderne che se in tutti questi casi il tribunale non avesse corretto le segnalazioni dei servizi sociali, un numero impressionante di bambini sarebbe stato strappato dalle proprie famiglie in maniera inopportuna. Piuttosto che tranquillizzare, i dati forniti dal tribunale spaventano ancora di più.
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