Un tentativo che non riuscirà per colpire il Foglio e cercare di chiuderlo
Un giornalista già consulente di Vito Crimi, indimenticabile maestro e padrone per un anno e mezzo dei contributi per l’editoria in area governativo-grillina, ha anticipato ieri via blog una decisione del Dipartimento, di cui è direttore il dottor Ferruccio Sepe e responsabile politico il sottosegretario Andrea Martella: la decisione è di escludere il Foglio dai contributi all’editoria per il 2018, segnalata nel sito della presidenza del Consiglio. La motivazione non è chiara. Forse però la si può chiarire a beneficio del lettore.
Qualche tempo fa, nell’era Salvini-Di Maio, il portavoce di Palazzo Chigi, Rocco Casalino, aveva sarcasticamente domandato al nostro Salvatore Merlo perché mai si desse tanto da fare visto che il Foglio sarebbe stato chiuso. In quel tempo la Guardia di Finanza aveva rispolverato una vecchia inchiesta di accertamento giacente da sette anni nei cassetti sui contributi per gli anni 2009-2010. Il verbale della Finanza, con la quale la cooperativa editrice del Foglio ha sempre lealmente collaborato con la cessione la più ampia di tutta la documentazione amministrativa necessaria, coordinata per l’occasione o comunque raccordata al Dipartimento per l’editoria, stabiliva che il Foglio non aveva diritto in quel biennio ai contributi di legge perché non aveva raggiunto la percentuale del 25 per cento delle vendite calcolate sull’intera tiratura, il che è falso e è stato dimostrato falso nelle nostre controdeduzioni, cosa che qualunque tribunale civile è in grado di decidere in qualunque momento. Secondo argomento della Finanza: il Foglio era organo di un movimento inesistente, la Convenzione per la giustizia, il che era gravemente falso, visto che il movimento esisteva, aveva tenuto un suo congresso di fondazione a Firenze, perfino alla presenza di Marco Travaglio, e dunque il suo giornale tribuna, che non ha mai risparmiato parole di commento e fatti raccontati in materia di giustizia e garantismo giuridico, aveva il collegamento di legge necessario, per non parlare della legittimazione politica civile e culturale, con una struttura effettivamente costituita (la grave negligenza degli accertatori non sarà mai sottolineata abbastanza, insieme con la loro fretta di concludere ai nostri danni nella situazione politica data del governo gialloverde, visto che la cronaca del Congresso della Convenzione era pubblica, bastava poco per sincerarsene). Infine la cooperativa per la Finanza non era una vera cooperativa in quanto le forze che avevano dato origine al Foglio come Srl vi erano rappresentate e la sostenevano in relazione alla valorizzazione della testata, che il Foglio aveva da loro in affitto. E’ l’ultima falsificazione di una serie.
In base a questi falsi materiali, su cui i tribunali dovranno decidere, la pretesa dell’autorità politica e burocratica delegata a confermare o cancellare l’erogazione dei contributi all’editoria è di indurre il Foglio a una grave crisi editoriale, eventualmente alla chiusura, intimandogli la restituzione di sei milioni circa di euro per il biennio già menzionato e nel frattempo sospendendo l’erogazione di contributi a titolo di garanzia, procedendo senza nemmeno ancora avere acquisito la controrelazione del giornale rispetto al verbale dei finanzieri, il che è addirittura enorme, madornale. L’aria che tira è quella di un attacco proditorio a un giornale che è tra le più trasparenti macchine amministrative nel panorama dell’editoria italiana e che ha sempre avuto tutti i titoli per essere considerato in Italia e non solo in Italia, un serio giornale di riferimento per chi abbia voglia di leggerlo, cosa che avviene da venticinque anni e che non dipende se non per una frazione di un terzo dai contributi per l’editoria (il resto è il prezzo di vendita al pubblico, la pubblicità e le sponsorizzazioni). Siamo da sempre orgogliosi del nostro lavoro, che una buona legge ha reso possibile per chi lavora nell’antimercato non commerciale della qualità e dell’impegno civile all’informazione, e malgrado tanti errori e valutazioni sbagliate abbiamo sempre sostenuto che gli articoli del Foglio valevano qualche bel gorgheggio scaligero, insomma erano un fatto di cultura e di civiltà editoriale, e il finanziamento pubblico lo rendeva possibile in condizioni di relativa indipendenza e di tollerante semilibertà (la libertà integrale la lasciamo ai tenori della professione). Non abbiamo mai fatto cronaca da bassifondi, mai scoopismo da imbeccata, mai campagne che lisciassero il pelo all’opinione: al contrario, siamo stati spesso all’opposto di quanto una maggioranza di fedeli lettori pensava, e per questo quel nucleo di italiani ci ha rinnovato la sua fiducia e donato un serio prestigio al di là della circolazione delle copie di queste poche pagine bianche dai titoli lunghi e dalle scelte difficili. Siamo da sempre un giornale austero, che può piacere o dispiacere, ma che non accetta in alcun modo di essere assimilato, nemmeno per scherzo, a imprese che hanno scopi e assetti editoriali e civili diversi dalla nostra. Facciamo opposizione in ogni modo a questo trattamento, che giudichiamo francamente fuorilegge e dettato da malevolenza politica, emersa fin dal giorno in cui accedemmo ai contributi secondo la legge e divenuta infine determinazione a perseguire la chiusura del giornale quando una maggioranza e un governo a noi ostili, e verso i quali eravamo apertamente ma politicamente e lealmente ostili, si è provata con la dissuasione e la minaccia a farci tacere. Cosa che non avverrà, sebbene qui detestiamo la petulanza e preferiamo parlare con le cifre e con i fatti, difendendoci nei nostri diritti in tutte le sedi possibili, e riservandoci ogni azione di risarcimento per un comportamento che ci danneggia ma non ci imbavaglierà.
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