Processo a un angelo caduto
Anastasiya Kylemnyk era la fidanzata di Luca Sacchi, era con lui quando è stato ucciso. Nella gogna mediatica in cui è finita ora è una spacciatrice, una manipolatrice bugiarda
Roma. Il 31 marzo comincerà il processo per l’omicidio di Luca Sacchi. 24 anni. Personal trainer. Incensurato. Ammazzato per strada, di notte, a Roma, all’Appio Latino – un posto né degradato né chic, un posto da mediani – lo scorso ottobre, da un proiettile sparato da Valerio Del Grosso, un ragazzo non molto più grande di lui, però non incensurato (picchiava la sua ex, spacciava). Il 24 gennaio la procura di Roma ha ottenuto il giudizio immediato per tutte le persone coinvolte in questo fatto tremendo, sono sei: Del Grosso, naturalmente, Paolo Pirino, Marcello e Armando De Propris, Giovanni Princi e Anastasiya Kylemnyk. Questi ultimi due avrebbero organizzato lo scambio finito poi nell’assassinio che non è ancora stato chiarito se sia stato premeditato o incidentale.
Princi e Anastasiya: questi sono i nomi che più abbiamo sentito e letto nel gossip illecito e ormai inevitabile intorno a ogni fattaccio
Princi e Anastasiya (senza cognome, la ragazza sempre senza cognome, come fosse una presentatrice o una pop star alla quale dobbiamo affezionarci): questi sono i nomi che più abbiamo sentito e letto nelle ultime cronache, nelle interviste, nelle ricostruzioni e nel gossip illecito e ormai inevitabile che ricamiamo intorno a ogni fattaccio. Un gossip, un chiacchiericcio così urlato e insistente da essere diventato ormai una circostanza ambientale capace di condizionamento.
Anastasiya Kylemnyk era la fidanzata di Sacchi, ed era presente al momento dell’omicidio, che sulle prime aveva raccontato essere stato una rapina finita male. Ora sappiamo, invece, che c’era in ballo una compravendita di droga, nella quale Anastasiya avrebbe avuto un ruolo rilevante abbastanza da convincere il Tribunale del riesame a respingere la richiesta di revoca dell’obbligo di firma. Stesso provvedimento anche per Princi. Secondo i giudici, esiste il rischio che i due reiterino il reato. L’articolo che, tre giorni fa, riportava la notizia sul Tempo, aveva questo titolo: “Anastasiya spacciava abitualmente”. Il Messaggero: “Spacciatrice di droga non occasionale”. Sulla cronaca del dorso romano del Corriere, sabato scorso, il pezzo “Le bugie di Luca su Nastia. Si faceva trascinare da lei” dava la parola al miglior amico di Sacchi per approfondire una delle insinuazioni a carico di Anastasiya: il fatto che fosse una manipolatrice e che soggiogasse Sacchi al punto da indurlo a fare cose che mai e poi mai avrebbe fatto, per assecondarla e compiacerla, due cose che a volte fa chi ha paura di perdere la persona amata. L’amico di Sacchi ha evidenziato che Luca era in balìa di Kylemnyk, che a sua volta era in balìa di Princi, e quindi ciò che Princi voleva, Sacchi e Kylemnyk eseguivano.
In balìa di altri, ma essendo stato assassinato Luca e non Kylemnyk, lei non viene mai descritta come una vittima di abuso psicologico
Tuttavia, essendo stato assassinato Luca e non Kylemnyk, lei non viene mai e poi mai descritta come una vittima di abuso psicologico, come una ragazza che per molte ragioni, probabilmente indagabili, avrebbe potuto piuttosto prevedibilmente essere esposta alla sudditanza psicologica. Anastasiya è, nella narrazione mediatica, un angelo caduto. Una ferma manipolatrice. Una bugiarda. Una spacciatrice. Una coordinatrice di maschi alle sue dipendenze. L’ambiziosa ucraina arrivata in Italia con una famiglia incompleta, quando era né bambina né adolescente, nel mezzo. La bionda dagli occhi di ghiaccio – sono tutte espressioni scritte e pronunciate, in larga parte da giornalisti, in questi ultimi tre mesi. Il Corriere ci informava sabato a mezzo amico ventenne della vittima che Kylemnyk e Princi erano vegani e Luca si fingeva vegano quando cenava con loro. E anche che millantava lavori che Kylemnyk non faceva, per illuminarla, per farla splendere (tutte cose che, in un romanzo o in una serie tv, farebbero pensare al lettore o allo spettatore che gli altri sono così tanto l’inferno che a volte un ragazzo si sente in dovere, per abilitare la persona che ama, di impreziosirle il curriculum con una sfilza di bugie).
Nella narrazione dominante, Luca amava, non troppo riamato, Anastasiya, la quale lo soverchiava e condizionava a piacer suo
Del filone Kylemnyk burattinaia sono interessanti due cose: prima di tutto, l’estromissione quasi completa di Princi, chiaramente citato come motore immobile del condizionamento, eppure tralasciato, abbozzato come una comparsa; il fatto che questa specifica narrazione sia stata avviata dalla pubblicazione, a metà gennaio, delle conversazioni WhatsApp di Sacchi e Kylemnyk, che i giornali e le loro Cassazioni, ovvero i social network, hanno pubblicato senza che la cosa fosse né troppo lecita né troppo sensata e che però ha finito con l’istruire un’operazione di scavo psicologico a termine della quale gli italiani avevano stabilito che Luca amava, non troppo riamato, Anastasiya, la quale lo soverchiava, condizionava, sballottava a piacer suo e per imprecisati scopi. Nella trattazione mediatica della vicenda, questo è un punto fondamentale, e rabbrividente.
È bizzarro che nessuna voce si sia levata in difesa di Anastasiya e del suo diritto di essere lasciata in pace e in attesa di giudizio e del nostro dovere di non fare di lei un mostro, né adesso, né mai. È bizzarro perché la persecuzione di questa ragazza, il martirio della sua immagine, la riproposizione dei cliché ai suoi danni rientrano tutti nei tic sessisti che il nostro tempo è ben attento a segnalare. Un altro aspetto interessante della narrazione del delitto Sacchi è come la decostruzione dell’immagine di Kylemnyk (da angelo e demonio, da compagna a possibile assassina, da vittima ad architettatrice) sia andata di pari passo con le reazioni della famiglia di Sacchi. Se all’inizio i genitori di Luca erano molto protettivi nei suoi confronti, allo stesso modo si comportava la stampa. Non appena le confessioni, le ritrattazioni, le incongruenze di Kylemnyk hanno cominciato a mostrare le molte tinte fosche del quadro, e i genitori hanno reagito come era inevitabile che reagissero, e cioè voltandole le spalle, le loro frasi sono state microfonate, riportate, ficcate nei titoli non tanto a corredo della cronaca, ma come liberatoria per le interpretazioni più arbitrarie, per le insinuazioni più atroci. Il padre di Sacchi chiede l’ergastolo per gli assassini di suo figlio e i giornali riportano la cosa di modo che tutti possiamo fare lo stesso, e avere la bava alla bocca, e sentirci, per questo, non bestiali, ma umani umanamente vicini a una famiglia distrutta.
Il padre di Sacchi dice “Anastasiya mi fa schifo” e i giornali ce lo fanno sapere, di modo che la cosa sia uno schifo libera tutti
Il padre di Sacchi dice “Anastasiya mi fa schifo” e i giornali ce lo fanno sapere, di modo che la cosa sia uno schifo libera tutti per noi, al bar, in piazza, a cena, su Twitter, e ovunque e comunque ci venga in mente di dire la nostra su quello che è successo.
E allora diciamo “Anastasiya mi fa schifo” anche noi, e lo facciamo in nome del padre, e questo è un patriarcato che non indigna nessuno, perché la sua vittima non è una di noi, è un’immigrata ucraina molto sgradevole e molto cheap, che urla contro le telecamere, e che sognava di aprire palestre, e che forse in nome di quel sogno ha spacciato chissà per quanto tempo, e di certo ha trascinato un bravo ragazzo in un gorgo dal quale non tornerà mai.
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