Una foto di Codogno deserta, venerdì mattina (LaPresse)

La vita sospesa nella Codogno del coronavirus

Luciana Grosso

La paura giustificata e l'allarmismo paranoico. Le scuole chiuse, gli aperitivi sospesi e nessuno che sa davvero cosa pensare. Come si vive in un piccolo centro di cui il mondo ignorava l’esistenza e che ora, invece, del mondo è il centro

Sulla gravità del contagio da coronavirus, saranno i medici, a dire. Sulla portata dell’allarme, che sfiora la paranoia e che non fa capire più niente, invece, dicono già i fatti, visto che Lodi e i paesi che le sono intorno sono sospesi, spaventati e increduli.

   
Nessuno sa davvero cosa fare e cosa pensare, tra chi ostenta indifferenza e chi, invece, segue ossessionato notiziari e social. Fin dalle prime ore della mattina centralini dei pronto soccorso, chiusi per precauzione, sono intasati da chi chiede delucidazioni anche per un raffreddore, vuole essere visitato o fa domande senza nessun senso se non quello di essere dettate dalla paura: “Mia zia è di Codogno, cosa devo fare?” abbiamo sentito chiedere al bancone di una farmacia affollata come non mai. Ma, si sa, e lo diceva anche Manzoni, che la paura e le voci corrono più veloci dei batteri e dei virus, e rimpallano sulle chat di gruppo e sui social, tanto che alla fine, non si capisce più niente. C’è chi dice che le scuole dovrebbero essere chiuse, anzi no, saranno chiuse di certo, anzi no, stanno aperte ma i ragazzi che hanno l’influenza devono stare a casa. C’è chi dice che le fabbriche e le aziende chiuderanno, che i treni dei pendolari saranno soppressi, che gli ospedali verranno messi in quarantena tutti. Il carnevale? Cancellato? Le partite di calcio? Sospese? Gli aperitivi del venerdì sera? Ma, magari facciamo settimana prossima? 

     
Intanto nel rimpallo delle notizie, forse vere forse no (a un certo punto, nelle tortuose vie di una chat di genitori gira anche la bufala di una ragazzina di 16 anni morta), dalla regione e dai comuni arrivano notizie alla spicciolata, dando l’impressione che anche le autorità non abbiano le idee particolarmente chiare, sospese tra il prendere precauzioni e il non creare allarme. Quel che pare certo, sino ad ora è che dieci comuni della bassa lodigiana (la zona tra Lodi e Piacenza: Codogno, Casale, Castiglione, Somaglia, Maleo, San Fiorano, Bertonico, Fombio, Castelgerundo e Terranova) saranno messi in isolamento, il che significa che saranno chiusi negozi, bar, scuole, parrocchie e qualsiasi altra attività lavorativa e commerciale che non sia di interesse pubblico. Poi il weekend ci metterà una pezza e si capirà cosa fare, se chiudere anche i pronto soccorso, se isolare del tutto le città coinvolte (come fossero delle Wuhan in miniatura) si sopprimere le fermate lodigiane dei treni di Casale e Codogno, se chiudere gli uffici. 

  
Ma l’impressione è che tutto questo servirà a poco, perché le province sono come delle città diffuse, in cui tutto è vicino e mescolato: si abita in un paese, si va a scuola in un altro, si va a far la spesa in un altro, al cinema in un altro ancora e al lavoro si va a Milano o Piacenza, mescolati con centinaia di altri pendolari.

   

Così, in queste ore confuse, immobili e allo stesso tempo convulse, a Lodi e dintorni nessuno sa veramente cosa fare, se non annullare la pizza con gli amici del venerdì sera.

     
Si sta sospesi, in una piccola città di cui il mondo ignorava l’esistenza e che ora, invece, del mondo è il centro, perché da qui, per la prima volta dall’inizio dell’epidemia, si potrà misurare il tasso e la velocità del contagio con dati più sinceri e affidabili di quelli arrivati dalla Cina. E speriamo migliori.

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