Ma quali aiuti della Cina contro il virus, è tutta roba che compriamo
Scatta l’operazione “benevolenza cinese” di Di Maio & Co.
Roma. I buoni samaritani, in tempi di pandemie, non esistono. E già questo avrebbe dovuto accendere il dubbio a chi ieri ha scritto, condiviso e rilanciato articoli che celebravano la Cina: “Donerà centomila mascherine, e di massima tecnologia!”. E poi: “Ventimila tute protettive, oltre cinquantamila tamponi per effettuare test diagnostici”, ma, soprattutto, “mille respiratori”. “Grazie!”. “Siete grandi!”. “Al contrario dell’Europa, voi state dimostrando solidarietà!”, si legge nei commenti al post pubblicato dal profilo Facebook dell’ambasciata cinese in Italia, che non a caso scrive in modo piuttosto ambiguo: “Il Governo cinese è pronto a fare la sua parte in segno di profondo ringraziamento verso l’Italia che ha aiutato il Paese nel momento del bisogno”.
Ma come, non siamo stati i primi ad aver chiuso i ponti, letteralmente, con la Cina? Tanto più che le prime mascherine volate dalla penisola alla Cina sono state quelle del Vaticano, seguite poi dagli aiuti dell’Italia. E infatti, come confermano al Foglio fonti della Farnesina e la Protezione civile, non c’è nessuna donazione, niente di gratis in quello che la Cina sta per mandare in Italia. La conversazione telefonica che il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha avuto l’altro ieri con il nostro ministro Luigi Di Maio – che, lo abbiamo capito, ormai, è alla disperata ricerca di un balcone dal quale affacciarsi pure in questa inedita emergenza – aveva come oggetto sì, i respiratori, ma il loro acquisto. Il ministero degli Esteri avrebbe fatto solo da tramite tra il governo italiano e quello cinese. La Cina, infatti, è uno dei maggiori produttori al mondo di macchine e prodotti sanitari, come appunto mascherine e respiratori.
Ve la ricordate, qualche settimana fa, la storia delle mascherine negli ospedali italiani prodotte a Wuhan, che poi man mano sono iniziate a finire? Ecco: la scorsa settimana, in una conferenza stampa proprio dalla città epicentro dell’epidemia, il viceministro dell’Industria cinese Wang Jiangping ha incoraggiato le industrie del settore a “venire incontro alla domanda crescente di prodotti medicali dall’estero”, si legge sul China Daily, visto che “secondo lui, la Cina ha già soddisfatto la domanda di forniture mediche”. Per la provincia dello Hubei, dal 23 marzo praticamente in lockdown, ora che l’emergenza sembra essere passata è importante ricominciare a produrre, e ad avere ordini. Ma poi la storia la raccontava bene Milano Finanza ieri, che fa parte del gruppo Class, a sua volta partner dell’agenzia statale cinese Xinhua. Class ha fatto da mediatrice nell’operazione affiancando Intesa San Paolo, che ci ha messo i fondi. Insomma: è tutta una questione di solidarietà e filantropia privata, quella che oggi invece si celebra come benevolenza cinese.
“Ho chiamato la Cina”, ha detto Di Maio a “La Vita in Diretta”, come ho chiamato mio cugino, quello che risolve sempre tutto. E il riferimento neanche troppo velato è alla polemica contro l’Europa per le restrizioni sull’export imposte da Francia, Germania e da altri paesi sui prodotti biomedicali. Eppure, come qualunque politico dovrebbe sapere, quello è un protocollo che si impone in automatico in caso di emergenza. Lo avrebbe fatto anche l’Italia se avesse avuto il tempo di realizzare l’impatto dell’epidemia. “Insieme a mascherine e respiratori polmonari” – che non sono aiuti, è l’acquisto di materiale a pagamento, lo aggiungiamo noi, va – “arriveranno dalla Cina anche medici specializzati che hanno affrontato per primi il picco dell’emergenza coronavirus”. E’ la seconda vittoria della propaganda di Pechino, dopo quella sulla “Cina modello globale per lotta ai contagi”. Adesso c’è l’expertise sul virus. Basta guardare come viene trattata la notizia sulla stampa cinese, dove tutto gira, di nuovo, intorno alla benevolenza della Cina: “Se l’Italia lo richiede, possiamo anche mandare degli esperti”, avrebbe detto Wang, secondo quanto riportato dalla cinese Cgtn. Esperti che, a quanto si apprende, andranno comunque anche in altri paesi europei.
generazione ansiosa