La bellezza pura di quelli che restano
Edicole, farmacie, rider. Il virus fa emergere un’altra classe dirigente
E’ che mi lasciavo trascinare in giro dalla tristezza / Quella che ti frega e ti prende le gambe / Che ti punta i piedi in quella direzione opposta / Così lontana dal presente / Ma noi siamo quelli che restano / In piedi e barcollano su tacchi che ballano / E gli occhiali li tolgono e con l’acceleratore fino in fondo / Le vite che sfrecciano”. Francesco De Gregori li chiamerebbe forse così, proprio come la canzone scritta nel 2018 insieme a Elisa: “Quelli che restano”.
E l’immagine di quelli che restano è la fotografia perfetta di una particolare categoria di persone presente oggi all’interno di una società travolta da un uragano chiamato coronavirus ed è un’immagine che descrive bene vecchi e nuovi corpi intermedi che oggi si ritrovano e si riscoprono centrali in una stagione in cui un pezzo di paese deve stare a casa e un altro pezzo deve invece offrire a chi sta a casa gli strumenti giusti per sentirsi protetti e sicuri. I volti di quelli che restano, ovvero i piccoli e grandi eroi di questa epoca di pazzie virali, corrispondono ovviamente ai profili dei medici e degli infermieri che ogni giorno combattono per evitare che il virus abbia l’effetto darwiniano di una grande scrematura, ma in quella zona grigia che esiste tra chi si prende cura di noi (con la forza della medicina) e chi prende decisioni per noi (con la forza della politica), c’è tutto un mondo mediano, di soggetti esposti che, come direbbe De Gregori, gli occhiali li tolgono e con l’acceleratore fino in fondo, e il cui volto corrisponde a quello di una nuova e insospettabile classe dirigente divenuta in questi giorni più indispensabile che mai e costretta per decreto a lavorare negli stessi giorni in cui a buona parte del resto del paese viene ordinato di stare a casa.
Quelli che restano sono coloro che lavorano negli ipermercati, nei supermercati, nei discount, nei minimercati, nel commercio dei surgelati, nel commercio dei carburanti, nelle rivendite di articoli medicali e ortopedici, nelle botteghe ottiche, nei negozi specializzati in telefonia, nelle farmacie, nei servizi bancari, finanziari, assicurativi, nelle attività del settore agricolo, nelle edicole, nei giornali, nelle radio, nelle televisioni, nelle tipografie – e mai come in questi giorni forse i programmi di informazione vengono guardati, i telegiornali divorati e i giornali letti – e ovviamente in quella fascia oggi magica rappresentata da quelli che un tempo avremmo banalmente definito “i corrieri” o “i postini” o “i fattorini” ma che ai nostri occhi sono come infermieri del benessere, che tra un pacco, un pranzo, una cena, una spesa, una consegna, un regalo, un pensiero portato di fronte alla tua porta ti permettono di non sentire troppa nostalgia della vita fuori casa. Quelli che restano – autorizzati in un certo senso per decreto regio, per così dire, del presidente del Consiglio a restare nel loro posto nei giorni in cui nulla sembra essere al suo posto – sono lo specchio di un fenomeno che meriterà di essere analizzato quando il mondo tornerà al suo posto e in tanti si dimenticheranno di questa nuova classe dirigente a cui è stato chiesto di essere quello che in molti avrebbero voluto eliminare: l’embrione possibile di una futura e rivoluzionaria stagione di nuovi corpi intermedi. Quelli che restano sono lì che aiutano, insieme a quelli che più che aiutare salvano, ma quando tutto questo finirà forse sarebbe bene non dimenticare chi oggi ha fatto tutto il possibile – e anche di più – per evitare che la paura, oltre che la tristezza, potesse essere lì, pronta, come direbbe De Gregori, ad aggredirti le gambe.
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