A Milano la bici la riparano a domicilio
"Esco di casa alle otto di mattina e rientro alle otto di sera". Velocifabio ci racconta il ritorno delle due ruote nel capoluogo lombardo tra meccanici che non ci sono più e vecchie biciclette da rimettere in strada
Una tarda sera d'autunno uscii da un ufficio e trovai la bici bucata. Non l'avrei mai lasciata sola una notte intera e mi serviva la mattina dopo, così la spinsi a piedi per quattro chilometri fino alla fermata della metropolitana. Avessi saputo dell'esistenza di Velocifabio avrei tentato un salvataggio in extremis.
Ma era il mondo prima del Covid19 (l'acronimo è sempre A.C.), quando il nostro meccanico a domicilio avrebbe trovato una mezz'ora per venirmi a salvare: dalle riaperture del 4 maggio le richieste d'intervento sono esplose, e riesce a soddisfarle non prima di qualche giorno.
"Esco di casa alle otto di mattina e rientro alle otto di sera. Da quell'ora fino a mezzanotte poi, insieme alla mia compagna, senza la quale avrei gettato la spugna, guardiamo tutte le foto, valutiamo il percorso e i tempi, e mettiamo giù il piano d'azione." Il cosiddetto planning. Che la mattina vedrà Fabio partire in scooter con la borsa dell'essenziale.
"Tanti attrezzi. Ho proprio un feticismo per gli attrezzi. Estrattori, smagliacatene, chiave a cricchetto... E poi la scorta base di ricambi classica, camere d'aria di varie misure, 26 e 28 soprattutto, copertoni, cavi freni, guaine, bulloni, ferma cavi, blocca filo, grasso freni e olio catena, e insomma tutta la minuteria".
Eventuali pezzi di ricambio li ordina e recupera in pochi giorni. Ma gli interventi sono soprattutto per forature. Bucare attraversando il Parco Nord per me è un appuntamento stagionale.
"Sono le spine delle piante. In strada sono invece piccoli vetri. Oppure la camera d'aria che si pinza, quando le gomme sono troppo sgonfie. Una rapida riparazione, solo che poi scatta sempre la frase: 'Ma, già che sei qua...' E meno male, a volte, perché trovo bulloni mezzi svitati, cose così, pure pericolose, oggi più che mai. Spesso le persone hanno abbandonato la bici perché non avevano voglia di sbattersi, di trovare il modo di portarla dal ciclista, poi ritornare. Ed è rimasta lì a far ruggine".
Ma se basta chiamare il pronto intervento allora ci fanno un pensiero.
"Un amico grafico mi ha appena fatto il logo, nome SOS BIKE, il simbolo ricorda quello della Croce Rossa".
Oltre a quello degli acquisti, c'è il boom anche di queste bici riesumate dalle cantine dopo un tot di anni. "In questo periodo me ne capitano tantissime. Oltre alle cantine, nei cortili, legate e abbandonate. E lì mi devo arrangiare un po'. Al telefono chiedo di schiacciare il copertone e vedere se fa le crepe. O premere forte i freni, se sono duri vuol dire che han preso troppa acqua. Poi quando son lì cerco di metterle in strada. Ma ce ne sono tante che stanno lì per mesi, anche anni, senza nessuno che si faccia vivo. Quest'inverno, quando pedalano solo gli ostinati e si lavora niente, d'accordo con i condomini, ho messo un cartello che invitava i proprietari a lasciare una targhetta di appartenenza entro un tot di giorni, passati i quali le bici sarebbero state spostate. E da quelle recuperate prendevo i pezzi sani, per costruire altre, i miei 'prototipi'".
Che tipo di biciclette ti chiedono di far rinascere? "Ci sono tante olandesine. E anche qualche freno a bacchetta, bellissime , per carità, ma le più odiate dai biciclettai, me compreso. Poi se ne rivedono tante con le dinamo, che non hanno più senso, anche se fanno romantico: quando sei fermo al semaforo non ti vede nessuno. Ma anche vecchie Mountain Bike. Un avvocato in centro ha ripescato la sua, telaio Columbus, roba seria, regalatagli alla laurea: praticamente nuova. Gli ho detto di trattarla bene. E lui, come fanno molti, ha risposto: 'Tanto non è che la userò granchè'. Sentono il dovere di averla a disposizione, poi se la usano o meno, chissenefrega. Magari è gente che ha sempre preso i mezzi, e adesso ha paura ad salirci. Sono quelli del: 'Chissà se sono ancora capace'!".
Quello lo impari da bambino e non scappa più: chissà, piuttosto, se sanno pedalare in città. Perché temono la strada. La vedono ostile. "Ci vorrebbe una educazione stradale anche per i ciclisti. Per quelli spaesati, ma anche per quelli spavaldi, che diventano pericolosi."
Velocifabio ha 38 anni e uno sguardo gentile e attento. Ha saltellato tra mille lavori precari, come è ormai consuetudine, prima di approdare a questa sua professione itinerante. Già da molto piccolo smontava ogni cosa gli capitasse tra le mani, per vederne gli ingranaggi. Alla meccanica della bicicletta si è avvicinato da ragazzo, frequentando le ciclofficine e la Critical Mass, per poi finire a trent'anni suonati ad Amsterdam, dove ha lavorato da Red Bike, periodo che gli ha fatto conoscere un'altra mentalità. "In Italia domina lo scetticismo. Là non c'è nessuna discriminante, di età ed esperienze lavorative, insomma nessun curriculum, tanto meno quello delle amicizie: lo sai fare? Fallo. Se dopo due giorni non rendi Ciao. Altrimenti il lavoro è tuo. Devo dire che è servito alla mia autostima, che non era eccelsa. E tornato in Italia mi hanno preso alla Bianchi, ora chiusa, con un contratto a chiamata. C'era questo capo meccanico che sapeva tutto, e da lui ho succhiato il mestiere. Ancora oggi lo chiamo quando non mi torna qualcosa".
Intanto questa cosa del riparare sul posto gli ronza in testa da un po'. Agli inizi voleva mettersi con la sua cassetta degli attrezzi davanti alla metropolitana, poi ha pensato che era più semplice farsi chiamare, e ha messo alcuni piccoli volantini.
La prima telefonata.
"Era una donna, una bici bucata. La riparai lì, in strada. La gente intorno si era fermata a guardarmi. Ed ero preso malissimo. Tipo ansia da prestazione. Oggi è diverso. Ci sono quelli che mentre riparo, al posto di tornare al lavoro o a casa, preferiscono prendersi una pausa, e farsi due chiacchiere. Mi piace, questa cosa". Insieme a questi primi interventi, che era quasi un hobby, un'altra esperienza da assunto a Tokyo Bike. Quando poi ha chiuso anche quel negozio, ha deciso di lanciarsi come Velocifabio. "E qui è stata fondamentale la mia compagna, e con lei i suoi amici, ora anche miei. Un mago, un costruttore di Escape room, tutta gente che fa un lavoro che si è inventato. La loro esperienza, e vicinanza, mi ha tolto le ultime paure".
Quando Fabio era bambino in tutta Milano era facile avere un biciclettaio a un tiro di schioppo. Tutti ex ciclisti che avevano aperto un'officina. Qui a Dergano, dove ci siamo incontrati, oggi c'è solo la sua figura volante: all'indirizzo segnalato su Google non c'è nessun Velocifabio. Non hai mura. Il tuo working è super smart. "Quando ho iniziato, su Google Maps non si potevano inserire i servizi e allora misi l'indirizzo della casa dove abitavo con i miei. Poi l'ho lasciato. Ormai sono conosciuto così, con base a Dergano". Base aerea, nel senso di impalpabile. Sai di altri, che riparano biciclette a domicilio? "No, in Italia non ne conosco. In America ne ho visti un paio, ma escono con il furgone, si portano dietro l'officina, praticamente. Qui sarebbe una pazzia, muoversi in città. Ieri pioveva è ho dovuto uscire in macchina, e sono riuscito a fare solo 3 interventi in una giornata".
Come hai vissuto il lockdown, bloccato in casa? "Mi mangiavo le mani. C'erano i ragazzi del Deliveroo che erano in strada e che avevano bisogno in continuazione e io non potevo uscire. Ho fatto solo una riparazione, ma il domicilio era il mio. Mi chiamò un uomo costretto in carrozzina, che aveva bucato una delle due ruote. Io non potevo raggiungerlo, lui non poteva stare senza. Allora si è deciso lui, con autocertificazione, ed è venuto a casa mia, a Novate, a portarmela. Io intanto mi sono fatto spedire la camera d'aria adatta, e gliel'ho cambiata. Gratis. Per me è stato un onore." Bel materiale per un moderno De Amicis.
Adesso invece sei sempre in strada. Continuasse così, ti toccherebbe farti aiutare. "Vedremo, ma la cosa non mi entusiasma. Mi piace troppo quello che faccio, e ne sono un po' geloso. Per adesso non ci penso e pedalo. L'energia arriva."