Mondragone e il focolaio delle inefficienze che la politica non vuole vedere
Una situazione che non si cura né con i redditi di cittadinanza né con l’esercito
Un focolaio di tensioni sociali, di criminalità, di sfruttamento, di razzismo e ora anche di epidemia. Mondragone, come tutto il litorale domizio e, attraversando il Volturno, l’agro aversano, era una polveriera. Innescata dal Covid. Le minacce, gli insulti, gli scontri con la polizia, le tensioni tra italiani e immigrati, le sedie lanciate dai balconi dai bulgari e le auto incendiate dagli italiani come ritorsione, le accuse di essere untori agli stranieri che hanno violato l’isolamento domiciliare e che si barcamenano sfruttati dal caporalato e dalla criminalità, l’arrivo dell’esercito per delimitare la zona rossa, tutto questo mix di rabbia, rancore e paura ha un’origine pluridecennale. Sicuramente da quando i Palazzi Cirio, il complesso in cui è scoppiato uno dei principali focolai nazionali con circa 50 contagiati su 700 e rotti testati, sono diventati un’enclave di circa un migliaio di immigrati, prevalentemente bulgari di etnia rom, che pagano irregolarmente l’affitto a proprietari italiani e altrettanto irregolarmente lavorano nell’agricoltura in condizioni di sfruttamento e semischiavitù.
Quei palazzoni, così simili concettualmente alle Vele di Scampia, si chiamano così perché costruiti, negli anni 70, sui terreni della Cirio, che aveva iniziato la dismissione della vicina e storica fabbrica di conserve. Una sorte analoga agli altri stabilimenti della Cirio insediati in Campania a partire da inizio ’900. Quei palazzoni però portano un altro nome, anch’esso simbolo di un fallimento industriale: “Parco Nuova Florida”. Il litorale domizio negli anni 60 e 70 aveva un turismo sviluppato, grazie alle sue lunghe e ampie spiagge, alla vicinanza con Napoli e a una nascente industria ricettiva: si puntava sul turismo come settore trainante del territorio. Il progetto di far diventare il litorale una Riviera romagnola del sud non è però mai decollato. Un colpo tremendo è arrivato con il terremoto del 1980 e la decisione, sotto la pressione dei vari comitati, di trasferire da Napoli centinaia di migliaia di senzatetto requisendo seconde case, villette, alberghi e strutture ricettive. Una scelta provvisoria, che è poi diventata definitiva, ma che ha affossato ogni ambizione turistica della zona. Da allora, e prima dell’arrivo dei bulgari, i Palazzi Cirio sono stati occupati dagli “sfollati” producendo quel terreno di degrado e criminalità, quel clima di tensione e diffidenza che perdura ora con gli immigrati. E’ in pratica la storia di due fallimenti industriali, prima quello agroalimentare (Cirio) e poi quello turistico (Nuova Florida), aggravati o prodotti da una dissennata programmazione urbanistica e una pessima gestione post terremoto. Questo tanto per ricordare che ogni crisi è sempre un’opportunità, ma l’opportunità è anche quella di fare nuovi disastri. E che non è detto che “andrà tutto bene”, perché in posti in cui andava molto male già prima è difficile che vada meglio dopo epidemie e zone rosse.
Su queste situazioni complicatissime la politica interviene, come al solito, per guadagnare o conservare un po’ di consenso, offrendo soluzioni semplicistiche. Per Matteo Salvini è l’ennesima occasione per prendersela con gli immigrati. Per Vincenzo De Luca quella di usare il pugno duro, anche se si comprende che fa lo sceriffo per il terrore che il virus faccia esplodere le situazioni di fragilità della sua regione. Ma i problemi sono talmente radicati che non bastano risposte semplici. “Questa situazione non si risolve né con il reddito di cittadinanza né con l’esercito”, dice Mario Landolfi, ultimo esponente politico di rilievo nazionale di un territorio che ora è anche senza rappresentanza politica. “Servono progetti a lungo termine, risposte articolate e complesse”. Difficile che andrà tutto bene, da queste parti la sensazione è che andrà tutto come prima.
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