Dovevamo uscire dall’euro, e invece siamo usciti con gli euro. 209 miliardi, per la precisione; di cui 82 a fondo perduto e 127 di prestiti in monetine da 5 centesimi – condizione imposta dai paesi frugali come l’Olanda. Lasciando alle cronache dei retroscenisti la ricostruzione delle trattative, e ai politici il commento propagandistico, a noi uomini di buona volontà spetta il lavoro vero: come li spendiamo, questi 209 miliardi di euro? Non siamo abituati a maneggiare tutti quei soldi, o perlomeno non legalmente; rischiamo di farci prendere dallo shopping compulsivo o, peggio ancora, dalla paranoia per i ladri. Oppure di diventare dei classici parvenu, dei “burini arricchiti” che magari spenderanno anche tutti quei soldi in infrastrutture e ricerca, ma poi non lasciano la mancia. È un’occasione storica: non dobbiamo sciupare quei miliardi né la fiducia dell’Europa, quindi occhio agli scontrini. Leggo che la lista della spesa prevede investimenti nel 5G e nelle ferrovie, energie rinnovabili, investimenti pubblici e qualche stuzzichino. Ma sopratutto, qui ci vuole un piano di riforme da presentare a Bruxelles in cambio del PIN. Dopo un’intera giornata di ragionamenti, la mia task force interiore (fra le mie personalità multiple non ce n’è una che sia qualificata, ma in compenso sono tutte mitomani) ha partorito il seguente piano nazionale di riforme.
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