La Carta del Carnaro compie cent'anni. L'inno alla libertà di Fiume
L'8 settembre 1920 veniva promulgato il sogno di Gabriele D'Annunzio e dei sindacalisti rivoluzionari reduci dalla Prima guerra mondiale
"La vita è bella, e degna che severamente e magnificamente la viva l'uomo rifatto intiero dalla libertà; l'uomo intiero è colui che sa ogni giorno inventare la sua propria virtù per ogni giorno offrire ai suoi fratelli un nuovo dono”. C’è un fondo di gioia e di positività nella Carta del Carnaro. Un futurismo positivo, una “volontà di vita e di resistenza a tutto, a volte disperata, ma vitale, piena di una laica religiosità”, disse Renzo De Felice in un’intervista nei primi anni Settanta.
L’8 settembre del 1920, cent’anni fa, venne promulgata la Costituzione della Reggenza di Fiume.
Durò poco il sogno di Gabriele D’Annunzio, la Reggenza italiana del Carnaro, qualche mese appena. Più scena che sostanza, secondo molti. Eppure in quella costituzione un po’ visionaria e un po’ campata per aria, piena di belle parole e vatismi vari, ci sono abbozzi del futuro democratico dell’Italia.
Perché quel nuovo ordine fondato sul lavoro, la tutela dei diritti individuali, la giustizia sociale, la prosperità e l'idea di bellezza, redatta da Alceste de Ambris, Filippo Corridoni e Vittorio Picelli era sì figlio della Grande Guerra, di un sentimento di rivalsa sociale tipico dell’interventismo di sinistra, animato da grosse iniezioni di arditismo e da più di una intuizione dannunziana, un’idea su tutte prendeva piede: quella che il lavoro dovesse essere al centro dei diritti riconosciuti dalla Stato. “Un governo schietto al popolo – res populi – che ha per fondamento la potenza del lavoro produttivo" (art III); "La Reggenza (…) amplia ed innalza e sostiene sopra ogni altro diritto i diritti dei produttori”, (art. IV); “Il lavoro, anche il più umile, anche il più oscuro, se sia bene eseguito, tende alla bellezza e orna il mondo" (art. XIV).
Ventisei anni dopo Umberto Tupini, presidente della Commissione per i diritti e doveri dei cittadini, spiegò che il compito dell’Assemblea costituente era “quello di vagliare il passato per evitare di ripetere storture e nefandezze, rielaborando invece ciò che di positivo è emerso”. Solo anni dopo confessò che la Carta del Carnaro fu uno dei testi studiati, “e di tutti il più moderno”.
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