Togliete la tv dalla caverna di Platone

Mariarosa Mancuso
"Mi sento come se avessi incontrato una tribù perduta nell’Amazzonia”, esulta il regista. A parte che noi un documentario su una tribù sperduta dell’Amazzonia non lo andremmo a vedere se non costretti – se vogliono stare sperduti lo stiano, e se invece non vogliono…, bè se non vogliono soltanto Maurizio Milani potrebbe suggerire loro qualcosa da fare – è andato completamente fuori strada.

"Mi sento come se avessi incontrato una tribù perduta nell’Amazzonia”, esulta il regista. A parte che noi un documentario su una tribù sperduta dell’Amazzonia non lo andremmo a vedere se non costretti – se vogliono stare sperduti lo stiano, e se invece non vogliono…, bè se non vogliono soltanto Maurizio Milani potrebbe suggerire loro qualcosa da fare – è andato completamente fuori strada. “The Wolfpack” – il documentario di Chrystal Moselle presentato all’ultimo Sundance Film Festival – è la caverna di Platone. Niente di più e più e niente di meno.

 

Trovate voi un altro nome adatto a un appartamento nel Lower East Side di Manhattan dove vivono sei fratelli e una sorella – avevano dai 11 ai 18 anni nel 2010, quando il regista li incontrò in una delle loro rarissime uscite – che il padre peruviano seguace di Hare Khrisna tiene segregati in casa. Troppo pericolo, all’istruzione pensa la madre Susanna che con i soldi ricevuti per questo impegno dal comune mantiene la famiglia (papà beve, i servizi sociali fecero un’incursione anni fa, non trovarono motivi per intervenire). Era una hippie del midwest che si innamorò della guida indigena (erano dalle parti del Macchu Picchu) . Chiusi a chiave e costretti a stare insieme e a tenere i capelli lunghi, i figli hanno però la libertà di vedere tutti i film che vogliono. Ci sono le catene, fin dalla tenera età. Ci sono le immagini sul muro. Che altro manca per essere la caverna di Platone?

 

Si calcola che i sette fratelli Angulo abbiano consumato cinquemila film. Nutrendosi di ombre, tuonerebbe il filosofi, e con lui quelli convinti che il mondo reale sia superiore a quello virtuale (lo scrivono di continuo anche su Twitter, a illustrare vedute di piazze italiane e monumenti esteri che fanno arrossire di vergogna, ridateci le cartoline). Non solo li vedevano, ma li trascrivevano, imparavano le battute a memoria e li rimettevano in scena, con costumi cuciti in casa e manifesti dipinti a mano.

 

Il film si intitola “The Wolfpack” per via di Quentin Tarantino: “Le iene” e “Pulp fiction” erano tra i titoli prediletti dagli Angulo Brothers, che essendo numerosi sceglievano soprattutto storie corali. Qui non c’era problema neppure con i costumi: completi neri e brillantina (una foto recente mostra che i fratelli maschi un po’ i capelli li hanno accorciati, mentre la sorella bionda li ha oltre le spalle). Un altro titolo che guardavano, riguardavano, rimettevano in scena era “Non è un paese per vecchi”, diretto dai fratelli Coen dal romanzo di Cormac McCarthy.

 

La realtà è sopravvalutata, e se proprio non volete andare contro Platone, datevi una riguardata a “Oltre il giardino” con Peter Sellers: Chance il giardiniere ha visto solo televisione, però gli altri mica se ne accorgono, a cominciare dal presidente che anzi lo prende come consigliere. I fratelli Angulo al momento non hanno buoni rapporti con il padre (il documentario non ha aiutato). L’unica cosa che davvero rimproverano alla loro educazione è di essere cresciuti convinti che tutte, ma proprio tutte, le ragazze finiscono per spezzarti il cuore.

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