Elogio dell'ambulatorio del dottor Vespa, luogo tv dove le cose accadono
Poi, alla fine, quando l’ora delle decisioni irrevocabili batte nel palinsesto televisivo, è sempre a Bruno Vespa che la dichiarazione viene consegnata. Tutti a inventarsi tutto – il conduttore melodrammatico e quello indignato, il bello e l’ardito, il comico e la bonona di supporto – ma poi sempre alla vecchia bottega si torna. Così lì sta, “Porta a Porta” – con l’età che l’avvicina ormai al sito neolitico di Stonehenge: e peraltro, con la stessa stabilità di pietra – come la rassicurante merceria di quartiere della sora Camilla, capace di tirare fuori dai cassetti tanto il perizoma che fa parecchio zoccola, se serve, come la panciera che pure la suocera consola, se occorre. Tutti a storcere il naso, tutti a darsi l’aria dei dritti e dei moderni, tutti a far mostra di preferire la boutique di tendenza. Tutti da Bruno prima o poi si finisce, dal Papa (seppure al telefono) a Valeria Marini, dai congiunti di Avetrana al presidente del Consiglio (quelli, poi, a raffica). Pare, ai superficiali, l’“Anticaja & Petrella” della tivvù nostra, la trasmissione di Vespa: in realtà, uno dei pochi posti della televisione (ormai ricca di anfratti e strane creature come la fossa delle Marianne) dove se una cosa deve succedere, succede. E prima che altrove accada, pure quando sarebbe opportuno che altrove accadesse.
Così è stato, l’altra sera, per il Lupi dimissionario – che per primo a Vespa ha rimesso l’incarico, poi eventualmente al Parlamento, a Renzi, magari al Quirinale. Di solito altrove si chiacchiera e basta – da Vespa si chiacchiera e, a volte, si procede. E’ il medico di famiglia della politica italiana, Bruno, quello che ti ha vaccinato da piccino e adesso fa il vaccino pure ai figli tuoi (lui stesso, temerario, una volta si fece vaccinare in diretta, offrendo l’arto superiore alla causa sanitaria nazionale), custode di ogni morbillo e ricaduta influenzale. Si va da Vespa come alla mutua (del resto, il raggelante tinello bianco spinge all’identificazione): dotto’, che c’ho? E sempre che si va – se l’atto segue il proclama. Rottamato ideale, in realtà vascello fantasma come l’Olandese Volante: sempre riappare e mai si inabissa. Così Lupi a Vespa consegna la sua sorte. Così da lui (ambulatorio per l’occasione trasformato in studio notarile, con tanto di appropriata scrivania) Berlusconi va a sottoscrivere il “contratto con gli italiani”. E D’Alema, nel proporsi quale eccellente fautore di risotti, a lui si affida. Se Sergio D’Antoni si deve dimettere dalla Cisl, lì si reca. Se Giuliano Amato si ritira dalla corsa delle elezioni, lì si posiziona. Se il Papa prende la cornetta in mano, il suo numero fa. E lui in piedi, dall’alto, scruta i suoi ospiti seduti, l’impeccabile cravatta, la capigliatura sempre più felicemente complessa, giusto il camice bianco manca – e un camice bianco ci starebbe benissimo: mi dica, cosa si sente? Severo, ma giusto. Figurarsi quanti ce l’hanno sui coglioni, l’ambulatorio del dott. Vespa – col ripostiglio stipato di plastici, storiacce che manco il gabinetto del dottor Caligari, starlette in transito. Fabio Fazio, per dire, mai gli ha permesso di andare a confondersi con Luca Mercalli (altro con bellissima aria da pediatra della mutua) o Filippa Lagerback. Lo stesso, Vespa ha sui suoi ospiti l’effetto “Totò sceicco”: “Assaggiami, assaggiami, diventeremo amici!”, così persino il cinquestellato Di Battista ne uscì rapito: “Ho conosciuto un grande giornalista. Preparato, professionale…”. E Repubblica, che mai l’amò, giusto del 2000 di festevole suo Giubileo, titolò: “Tutti da Vespa, salotto degli scoop”. Rispetto al mojito televisivo di moda, Vespa è come l’amaro Dom Bairo: l’aspetto solido e un po’ polveroso del bar sotto casa. Ma non di solo happy hour vive il politico: a volte si ha voglia del maritozzo con panna e del caffè al vetro. (sdm)