Correva il '92
Le serie italiane son diventate maggiorenni con “Romanzo criminale” e con “Gomorra” – Stefano Sollima sia sempre ringraziato - liberandoci dalla palude della fiction modellata sul santino in due puntate (copyright Aldo Grasso): un bel flashback che parte dal letto di morte, e pazienza se gli accenti sono incerti e le sceneggiature fragili. Diretta da Giuseppe Gagliardi - in anteprima nella sezione che la Berlinale dedica alle serie, con i primi due episodi di “Better Call Saul”, nata da una costola di “Breaking Bad” - “1992” tenta coraggiosamente il salto fuori dal genere.
Sei personaggi intrecciati con le vicende di Tangentopoli. La prima scena – le banconote che rispuntano dal gabinetto intasato, maledetto sifone – si deve allo sceneggiatore ombra di tutta la serie. Chiamatelo cronaca, sfiga o concorso di coincidenze, darà il suo contributo grottesco e tragico per tutte e dieci le puntate (su Sky Atlantic e Sky Cinema dal 24 marzo). Da una parte il genio del marketing, la soubrette bruna che smania per la tv, il leghista improvvisato, il poliziotto del nord e il poliziotto del sud, la ricca bionda annoiata. Dall’altra, Silvio Berlusconi (prima apparizione ad altezza tacchetto che spunta dalla toilette, consiglia ordine e pulizia nelle ritirate), Antonio Di Pietro (senza accento e con un italiano decisamente migliore dell’originale), Mario Chiesa, Bettino Craxi, Marcello Dell’Utri (spolvera con il piumino una copia dell’”Elogio della follia”, peccato che la rilegatura d’epoca sembri in fintapelle).
Complimenti per il coraggio, un po’ meno per la tenuta delle puntate (giudichiamo dalle prime due viste a Berlino). I personaggi presi dalla vita si portano dietro tutti i dettagli che sappiamo di loro, peccato per un trucco e parrucco non sempre all’altezza. I personaggi di fantasia faticano a imporsi – anche qui, speriamo in successivi sviluppi che acchiappino lo spettatore sparigliando le carte. Quando irrompono gli spezzoni di repertorio non c’è gara: un balletto di “Non è la Rai” vale più delle parole che il venditore di Publitalia spende per convincere all’investimento l’industrialotto delle chiavi a brugola (comunque c’era già la crisi, consolatevi, i soldi erano già belli e finiti all’inizio degli anni ‘90).
Rispetto a “Romanzo criminale” e a “Gomorra”, il ritmo è decisamente più lento. Gli americani – per esempio in “True Detective” – se lo possono permettere, dopo aver sperimentato tutte le sfumature del colpo di scena, noi ancora no. “1992” nasce da un’idea di Stefano Accorsi, che ha scelto per sé la parte del cattivo dall’oscuro passato (un ruolo così al cinema non gliel’avrebbero dato mai, e se lo gode anche un po’ troppo, beati gli attori che spariscono nel personaggio). Ha iscritto la figlia alla scuola steineriana, lezioni in pantofole per liberare assieme al piedino la creatività e cestini da intrecciare con le figlie di Berlusconi. Il giudizio storico sull’epoca naturalmente uno non se lo aspetta da una serie tv. Pare già un bel risultato essere usciti dal recinto asfissiante della resistenza, del sessantotto, della “meglio gioventù”. La più recente storia d’Italia è altrettanto ricca di storie che vale la pena di raccontare.