Lytton Strachey è il primo a sinistra

La storia del Mahdi e del generale Gordon in un califfato d'antan

Nicoletta Tiliacos
La racconta Lytton Strachey, amico di Virginia Woolf e di Keynes e come loro componente del circolo di Bloomsbury, biografo di “Eminenti vittoriani”.

    Roma. Lytton Strachey, amico di Virginia Woolf e di Keynes e come loro componente del circolo di Bloomsbury, è passato alla storia come l’inventore di un genere originale di biografia, in cui l’autore non si costringe a simulare un’impossibile imparzialità, ma esibisce personali simpatie e avversioni. Di questo modo di procedere un esempio classico lo troviamo nella splendida galleria di ritratti intitolata “Eminenti vittoriani” (riportata da non molto in libreria da Castelvecchi, nella traduzione di Ilaria Tesei, 281 pagine, 19,50 euro).

     

    Accanto al cardinale Manning, a Florence Nightingale e al dottor Arnold, vi troviamo il generale Charles George Gordon, l’“eroe di Khartum”, raccontato in parallelo con il suo mortale nemico: Muhammad Ahmad, autoproclamatosi nel 1880 “Mahdi”, cioè condottiero religioso musulmano con connotati messianici, fondatore di uno stato islamico che al culmine del suo potere, tra il 1884 e il 1885, comprendeva gran parte del Sudan (un’area estesa come Spagna, Francia e Germania). Non è difficile riconoscere nel Mahdi, che si mise alla testa della lotta contro la dominazione anglo-egiziana, un antenato (nelle intenzioni così come nei metodi) del califfo Abu Bakr al Baghdadi: a sua volta autoproclamato e passato dalla funzione di predicatore a quella di condottiero politico militare. 

     

    Muhammad Ahmad, nato nel 1844, era figlio di un oscuro imam della città sudanese di Dongola. Scrive Strachey che “dopo un diverbio con lo sceicco che gli impartiva l’istruzione religiosa, si presentò come predicatore indipendente, col suo quartier  generale, nell’isola di Aba, sul Nilo, oltre duecento chilometri a sud di Khartum”. La sua missione, affermava, era di ripristinare la vera fede, e con zelo puritano degno di un Calvino, sottolinea Strachey, inveiva contro i banchetti e il fasto, contro la musica e le danze. Lui, il discendente del Profeta, il dodicesimo Imam rimasto nascosto per guidare la riscossa dei credenti, la guida suprema, fece subito capire quali intenzioni lo animassero quando il governatore egiziano di Khartum, messo in allarme dalle notizie che arrivavano da Aba, mandò duecento soldati nell’isola per prenderlo prigioniero. Furono tutti trucidati, e il Mahdi, con i suoi seguaci, si ritirò nella parte più interna del Kordofan. Quella che doveva essere una momentanea ritirata divenne un trionfo. Ovunque il Mahdi reclutava nuovi sostenitori e presto ci fu per tutti una divisa: il gibbah, un camiciotto di tessuto ruvido e chiaro (non nero come la cupa uniforme dell’attuale Califfato). In breve, le truppe del Mahdi, che non trovavano nessuna resistenza, arrivarono a El Obeid, la capitale del Kordofan, e la conquistarono, issando il vessillo verde, rosso e nero, dopo un assedio di sei mesi. Lì il Mahdi consolidò il proprio potere e organizzò la vita del suo regno secondo regole ferree: ascetismo e teste rasate per tutti e un codice che comminava esecuzioni, fustigazioni e mutilazioni alla minima trasgressione.

     

    Il blasfemo era impiccato, l’adultero flagellato spesso fino alla morte (ma anche chi era sorpreso a consumare alcol o a fumare) e ai ladri si tagliava la mano destra e il piede sinistro… I pascià del Cairo decisero che la misura era colma, e spedirono contro il Mahdi una milizia di diecimila uomini guidata dal colonnello Hicks, ex ufficiale inglese a riposo: anche questo esercito (che agiva al di fuori di qualsiasi coinvolgimento del governo britannico) fu annientato. Dall’impressione che suscitò in Gran Bretagna quella strage partì una reazione a catena fatta di mosse sbagliate, di incertezze e di errori di valutazione che avrebbe portato il generale Gordon, combattente valoroso e fanatico quasi quanto il Mahdi, a difendere Khartum fino alla morte. La città cadde il 26 gennaio 1885 dopo 317 giorni di assedio, e Gordon combatté fino all’ultimo, diventando per sempre l’“eroe di Khartum”. La sua testa mozzata fu portata al Mahdi, che la fece appendere ai rami di un albero dove chiunque poté colpirla con le pietre. Ma lasciamo l’ultima parola a Strachey: “Eppure il futuro non apparteneva al Mahdi: dopo neanche sei mesi, egli morì all’apice del potere e il califfo Abdullahi regnò in sua vece. Il futuro apparteneva al maggiore Kitchener e alle sue mitragliatrici Maxim-Nordenfelt. Tredici anni dopo, l’impero del Mahdi scomparve per sempre nella gigantesca ecatombe di Omdurman, e a quel punto si ritenne opportuno celebrare un rito religioso in onore del generale Gordon nel palazzo di Khartum”.