Il tamburo opportunista di Grass, il Nobel sempre dalla parte giusta
Roma. Ostentava sempre la rabbia moralista del nanetto Oskar. Forse per questo John Updike di Günter Grass, scomparso oggi, aveva detto: “Non scrive romanzi, ma dispacci dal fronte del suo impegno”. In piena Guerra Fredda, il Premio Nobel della Letteratura abbracciò il movimento pacifista e incitò i tedeschi a “resistere”, non contro le mire sovietiche, ma contro gli Stati Uniti e gli euromissili. Poi lo scrittore scelse la militanza in favore degli immigrati: la limitazione del diritto d’asilo fu la ragione della sua uscita dal Partito socialdemocratico. Non poteva mancare il fanatismo ecologico (“l’annientamento della umanità è cominciato”, disse Grass nel 1982 a Roma) e l’antiamericanismo di maniera. Nel 1983 Grass ebbe perfino a dire: “Non c’è differenza fra la Conferenza di Wannsee (in cui si pianificò l’Olocausto, ndr) e il cinismo delle nostre simulazioni di guerra”. Poi si scagliò contro l’unificazione della Germania, da lui bollata come “un anschluss”, “un bottino” (al grande scrittore il capitalismo faceva schifo). E dopo l’11 settembre arrivarono gli attacchi alla “grande arroganza del mondo occidentale da cui deriva il terrorismo” e persino una comica lettera aperta che Grass spedì all’allora presidente francese, Jacques Chirac, impegnato a delegittimare gli Stati Uniti durante la preparazione della guerra contro Saddam Hussein (“Signor Presidente della Repubblica, siamo grati alla Francia per quanto ha fatto per arginare la guerra…”). Ora che è morto, Grass verrà ricordato dai critici per il suo “nazismo”, per aver indossato la divisa delle Waffen SS (e combatté con un certo entusiasmo: “Ero certo io stesso fino all’ultimo, nel ’45 – ammise – che fosse una guerra giusta”), o sarà esaltato da altri in quanto coscienza dolente della Germania, nume della sinistra. Non fu nessuna delle due cose. Grass fu soprattutto un opportunista, lo scrittore che seppe sempre stare dalla parte giusta (“pomposo e ipocrita”, lo definì Christopher Hitchens).
Anche durante la Ddr, Grass si atteggiò a vittima degli spioni dell’est, ma in verità difese la Repubblica Democratica definendola “una comoda dittatura”. Protetto dalla fama di “socialdemocratico”, Grass partecipava a incontri culturali a Berlino est ma faceva sempre ritorno nella vituperata Berlino ovest. Al sicuro. “Per Grass, la Ddr era una ‘comoda dittatura’, una forma benigna di dominio, una via al socialismo”, ha scritto Susanne Schädlich nel suo libro “Immer wieder Dezember”. Sempre dalla parte giusta. Come quando tre anni fa scrisse una poesia per accusare Israele di pianificare il genocidio del popolo iraniano, con il sinistro uso della parola “Überlebende”, sopravvissuto, per descrivere l’eventuale attacco israeliano a Teheran.
E’ stato questo Grass: un grande conformista. Da ricordare il convegno degli scrittori a New York nel 1986, in cui Grass accusò gli Stati Uniti di essere “una potente nazione che difende le dittature”, e gli rispose un vero dissidente, il sovietico Vasily Aksyonov, che si domandò, fissando i baffoni di Grass, “perché mai i tedeschi occidentali sono sempre così ansiosi di criticare gli Stati Uniti”.