Mia madre sono io
Nanni Moretti l’ha svelato subito: Margherita sono io. Margherita sta perdendo la madre e intanto gira il suo ultimo film, (un film che Nanni Moretti non farebbe mai) lascia un fidanzato (“non hai un minimo di dignità?”), non capisce sua figlia, si sente spaesata, sempre un po’ altrove, è sola e a volte ferisce le persone che ama. “Mi fai sentire ridicolo”, cercano di farle capire, da sempre, quelli che si allontanano e quelli che provano con fatica a restarle accanto. Invece la madre, nel letto di un ospedale, le dice soltanto: resta ancora con me. E’ tutto quello che si può fare, restare lì, ed è la cosa più semplice. Margherita sorride e rimane, tiene le mani di sua madre, cerca di comprarle qualcosa di buono da mangiare, cerca di capire qual è la malattia, che cosa sta succedendo, ma non ci riesce mai fino in fondo. C’è sempre qualcosa che sfugge, una realtà che non aveva considerato, un attore che non impara le battute, un ricordo o un incubo, un’immagine che spaventa, un medico che dice parole incomprensibili, o che lei non vuole capire. Succede anche sul set, quando Margherita trova che le comparse scelte per impersonare gli operai del suo film siano troppo finte perché hanno unghie lunghe e smaltate, labbra grosse (“Ho visto perfino uomini con le sopracciglia depilate”), e il suo aiuto regista le dice: ma questa è la realtà, le persone adesso sono così. Margherita si arrabbia: “Sarà la tua realtà, ma questo è il mio film”.
Il suo film, il suo disagio, sua madre: in un film così personale e semplice, in cui si riesce a ridere sempre, la commozione sale piano e sta anche nelle sfuriate di una regista in crisi, perché sono sfuriate con dentro un dolore, e perché sono risate con un velo sugli occhi. E’ sua madre che muore, ma è soprattutto lei (Margherita, Nanni Moretti, tutti noi) che si trova di fronte alla propria vita e si accorge di saperne pochissimo, di essere ancora la ragazza in fila al cinema per vedere “Il cielo sopra Berlino”. E’ lei e siamo noi che anche crescendo non diciamo la cosa giusta, che ci sentiamo inadeguati a fare il Papa e molte altre cose, e che abbiamo faticosamente imparato a prenderci in giro, o a gridare: “Stop!”, come sul set di un film, con l’idea di ricominciare oppure di tornare alla realtà. In questa realtà la figlia di Margherita ha quattordici anni e si ribella alle versioni di latino, le chiede ma a che cosa serve il latino, mamma spiegamelo tu, e lei comincia un discorso serio ma alla fine ride: “So che serve a qualcosa ma non mi ricordo a che cosa”. Forse non serve nemmeno ricordarlo, adesso, basta accarezzare ancora il vocabolario che usava lei, sua madre.