La Diana cacciatrice custodita al museo del Louvre, in Francia

La resistenza estetica per salvare l'Occidente dalla barbarie

Adriano Scianca
La nuova “rivoluzione conservatrice” che sta attraversando la Francia ha un cuore pulsante che resta celato oltre le oceaniche ma effimere proteste della Manif pour tous e oltre i pamphlet corrosivi che invadono le librerie per denunciare un'integrazione che non integra e una modello di civiltà che non civilizza.
La nuova “rivoluzione conservatrice” che sta attraversando la Francia ha un cuore pulsante che resta celato, oltre gli exploit elettorali del Front national, oltre le oceaniche ma effimere proteste della Manif pour tous e oltre i pamphlet corrosivi che invadono le librerie per denunciare un'integrazione che non integra e una modello di civiltà che non civilizza. Si tratta di quella comunità metapolitica erede della Nouvelle Droite riattivata dalla morte volontaria che Dominique Venner si è dato il 21 maggio 2013, nella cattedrale di Notre Dame. Un gesto che voleva essere di protesta, ma anche di fondazione.

 

Uno dei frutti in positivo di quell'atto sacrificale è stata la creazione dell'Institut Iliade, un “istituto per la lunga memoria europea” che ricorda – a cominciare dall'acronimo ellenicizzante – il vecchio Grece, di cui Venner fu peraltro interlocutore prezioso. Sabato 25 aprile, l'Iliade organizza a Parigi, presso l'austera Maison de la Chimie, uno dei suoi eventi annuali, un colloque sull'universo estetico degli europei. Fra i relatori, il posto d'onore è riservato ad Alain de Benoist, oltre che a una serie di relatori provenienti da tutta Europa: dal portoghese Duarte Branquinho allo spagnolo Javier Portella, fino al tedesco Philip Stein (l'Italia sarà rappresentata da chi scrive).

 

[**Video_box_2**]La prospettiva, come si vede, è metapolitica, dove il “meta” domina largamente sul “politico”: l'azione è pensata per i tempi lunghi, si lavora sui fondamentali, anche se l'evocazione esplicita della furia iconoclasta dello Stato islamico catapulta l'evento nel cuore dell'attualità più pressante. La bellezza salverà il mondo, come dicono Fëdor Dostoevskij e Matteo Renzi? Forse non da sola, ma senza una ribellione anche estetica, senza una percezione immediata di chi si è e di come si struttura il proprio orizzonte di senso, ogni rivolta si riduce immediatamente a vaniloquio sui “diritti” e sulla “dignità”. “La riaffermazione del nostro universo estetico, e dunque etico – ha spiegato in un'intervista il portavoce dell'Iliade, Grégoire Gambier – ci appare come imperativa. L'arte europea è fondamentalmente un'arte della rappresentazione dell'uomo e di Dio. È a un tempo il terreno e il vettore di una visione del mondo in cui la bellezza e il sacro sono indissociabili. E in cui in particolar modo la figura della donna, dalla Diana cacciatrice alla Vergine Maria, dalla dama di Brassempouy alla Venere di Botticelli, occupa un posto essenziale. Ora questa specificità plurimillenaria è oggi attaccata o negata da due forme di totalitarismo”. Che sono appunto l'islam wahabita e fanatizzato e l'industria culturale, con le sue truffe della sedicente “arte contemporanea”. Ma se la violenza del terrorismo musulmano è troppo barbarica per non evocare una istintiva crisi di rigetto, il nulla che intesse le fibre della fuffa “artistica” che erode dall'interno il nostro orizzonte estetico rischia di lasciare segni più duraturi. Esiste uno specifico senso estetico dell'Europa e degli europei? La domanda rischia di sembrare blasfema, così come è oggi bestemmia ogni interrogazione sull'identità. Su quella nostra, beninteso, perché poi si troverà sempre un critico pronto a vantare le virtù dell'arte primitiva di qualsiasi altro continente. Gli indoeuropei sono gli unici primitivi discriminati, diceva Geminello Alvi. E gli europei sono l'unico popolo a cui venga garantito solo l'inalienabile diritto a non essere. A questo serve l'arte, in fin dei conti. A tracciare il perimetro di un fronte dell'essere.