Il rapper banale
Due in un colpo, più uno sullo sfondo come convitato di pietra del dibattito tv: metti un lunedì sera di normale talk-show, su La7, a “Piazzapulita”, e l’apoteosi del rapper-opinionista è compiuta (“nuove figure televisive, il rapper à penser”, scrive Dario Di Vico su Twitter). Si parla di Expo, la nuova bestia nera per indignados del web, colpevole di mali oscuri con banche, banchieri, società autostradali, politici ovviamente ladri, media ovviamente conniventi e multinazionali ovviamente canaglia. E non basta avere in studio il veterano dell’hip-hop impegnato Frankie Hi-Nrg, seduto in poltrona con occhiali ingannevoli da prof., perché in ologramma (ovvero in video da una strada che si suppone milanese) compare a un certo punto J-Ax, volto e giudice di “The Voice” oltreché noto rapper col pizzetto. Ed è puro teatro nel teatro, ché i due parlano dell’universo mondo anti Expo ma soprattutto dell’altro rapper, quello al centro della querelle internettiana di questi giorni, e cioè di Fedez, alias Federico Leonardo Lucia, volto e giudice di “XFactor” nonché fiero portatore di tatuaggi-collare e di canottiere minacciose (con teste di leone, con serpenti). E’ successo che Fedez, come spesso da un anno a questa parte, ha scritto la sua su Twitter, in occasione della manifestazione “NoExpo” del 30 aprile (“I danni dei no Expo sono poca cosa in confronto alle infiltrazioni mafiose e alle speculazioni economiche dell’Expo”), manifestazione poi chiamata dei “buoni” rispetto a quella dei “cattivi” del primo maggio. “Buoni” dotati di striscione e vernice ma non di armamentario e spirito black-bloc, ha specificato con mille distinguo lo stesso Fedez, non senza vittimismo, dopo aver visto le devastazioni in piazza (della serie: non sono un cattivo maestro come dicono “i giornalisti cinquantenni”. Ed ecco tracciato il non nuovissimo solco tra “matusa” e ggiovani titolati a dire). Io ho il diritto di esprimermi come artista e come cittadino, ha detto Fedez, quelli che mi hanno criticato come istigatore di violenze fanno dello “squadrismo mediatico”; io parlavo della manifestazione del 30 aprile e non del primo maggio, delle motivazioni e non dei metodi – e via distinguendo). La toppa risultava peggiore del buco, sempre mediaticamente parlando (o migliore, a seconda dei punti di vista: basta che se ne parli, magari, visto il numero di dischi di platino inanellati dal Fedez self-made-man per autodefinizione e uomo d’oro dei talent e degli sponsor per carriera successiva, sempre sospesa fra trash e non trash: prende in giro nelle canzoni Barbara D’Urso e Alfonso Signorini, Fedez, nei suoi rap, ma quelli lo lodano, e Signorini compare anche in suo video, e lo difende dalle stroncature di Aldo Grasso).
“Caro Fedez prima tiri il sasso e poi tiri indietro la mano”, hanno commentato i suoi detrattori dopo aver letto le varie interviste in cui il rapper si muoveva, parlando dei manifestanti, lungo il sottile confine tra l’essere writer e l’essere casseur (ed era tutto un dire che i ragazzi del 30 aprile erano pacifici, mentre il ragazzo che giustificava il bordello devastatore a Tgcom24 era un cretino – discorso autorasserenante, questo, ripreso pari pari dai colleghi rapper su La7). E alla fine è impossibile distinguere la voce di Fedez dalla voce del web che sfiora il blog di Beppe Grillo ma non necessariamente da lì proviene (anche se una bella mano il blog gliela dà), e diventa impossibile anche capire da quale anfratto della rete provenga il cavallo di battaglia (orecchiato?) dal rapper di “XFactor” (che però dice: io mi interesso di politica da quando frequentavo i centri sociali). Cavallo di battaglia sloganistico sui manifestanti che protestano “giustamente” contro “il miliardo speso per autostrade che non servono” e contro “la malagestione dell’Expo” appena cominciato e contro le fantomatiche “infiltrazioni” e contro l’uso “hollywoodiano” di risorse “a coprire le macerie” e contro gli sgomberi “fatti per rendere bella Milano” come “in Cina” nei brutti tempi andati. Non confondere i manifestanti black bloc con i manifestanti non black bloc, e difendere le motivazioni dell’essere “NoExpo” ma non i metodi: questo il succo del reiterato discorso di Fedez a web unificato (ma pure sui giornali), un Fedez auto-giustificazionista e autore di un’invettiva contro gli intellettuali, ma fatta con il supporto ideale dell’illustre poeta russo: “Gli intellettuali sono i primi a fuggire dopo i topi e molto prima delle puttane – ma sono talmente ignoranti da non meritare neanche la citazione di Majakovskij”, scriveva Fedez citando appunto Majakovskij: “Ho la terza media”, dice sempre, raccontando però di aver affinato il lessico con la lettura, oltreché con le gare di freestyle.
E insomma nel mondo capovolto dove il rapper si fa più pensoso che dissacrante (non a caso Fedez si scontra a distanza con il rivale più trucido Fabri-Fibra, che lo chiama il “rapper banale”), la voce generica del web che idolatra il “merito” si incarna in lui, giudice da talent cui Morgan, innervosito, riservò una sera in video un dito medio alzato; lui ragazzo che “si è fatto da sé”, ça va sans dire, e che però ora trae linfa mediatica dai massimi esperti del genere: Betti Soldati, già storica collaboratrice di Maria De Filippi, gli cura la comunicazione, e gli stessi Costanzo&De Filippi lo invitano volentieri sui loro palcoscenici: una sera c’è Fedez ad “Amici”, una sera c’è Fedez al redivivo “Maurizio Costanzo Show”, dove Costanzo, mentre lo intervista, gli chiede di indicargli sua madre seduta nel pubblico, madre e braccio destro operativo nella società di produzione discografica di Fedez, la “Newtopia” (uno dei soci è il rapper J-Ax – come ti sbagli). “Newtopia”, nomen omen: la società che aiuta la realizzazione dei sogni di chi altrove “non verrebbe mai prodotto”, dice Fedez, a patto che l’artista preso sotto la sua ala protettrice poi “si regoli”, non si accettano sballati (Fedez da ragazzino a volte si è sballato in discoteca, ma non vuole che altri seguano quell’esempio, dice). Ed è mistica “dal basso” traslata dalla politica movimentista alla musica e viceversa, la sua, tanto che all’Arena di Verona, l’estate scorsa, durante un tour, Fedez si è messo a parlare, alla maniera di un Gianroberto Casaleggio poi omaggiato con titolo di disco (“Pop-hoolista”, come il guru a cinque stelle amava polemicamente definirsi), delle “gazzelle che in Africa si svegliano ogni giorno felici di non svegliarsi in Italia”, il paese dove “la gente non arriva alla fine del mese ma si preoccupa che la batteria dell’iPhone arrivi a fine giornata”. Ed è questo Fedez “giovane” per antonomasia – e in quanto giovane invitato un anno fa ad “Announo”, chez Giulia Innocenzi, a litigare con Carlo Giovanardi sulla legalizzazione delle droghe leggere – a ritrovarsi oggi a colloquio (pensosissimo colloquio) con Michele Serra. A tu-per tu, il giorno della Liberazione, a bordo di un vecchio tram milanese, in memoria dei tram che in un giorno di marzo nel 1944 non uscirono dal deposito per quattro ore, primo indizio di ribellione al fascismo. E se Fedez, con Serra, pare quasi intimorito, per un attimo dimentico del ruolo di “venticinquenne che lotta contro i matusa”, Serra con Fedez si mette a discettare di fascismi vecchi e nuovi, conformismi e paure, e Fedez si prende talmente sul serio, lui che spesso si definice “diversamente rapper”, che la passeggiata in tram si tinge di surreale, e il più giovane dei due pare senz’altro la firma della “Amaca” su Repubblica.
Il resto lo fanno le similitudini con cui Fedez infarcisce canzoni, introduzioni di concerti, tweet e interviste: si sta “a bocca spalancata come un coniglio traumatizzato”, dice quando ha l’ansia da performance. Se non è paragone, è frase da adolescente in un libro di Federico Moccia (“la folla che ti fa esplodere il cuore”) o gioco di parole pure quello da web indignato (“i senzatetto” che sono più delle “senzatette”: l’italiano che fa casino “durante il minuto di silenzio” e sta in silenzio “quando si deve far casino”). E chissà dove ha preso, Fedez, quella frase in stile Bersani imitato da Crozza: “Ostacolare il percorso di questo artista è come fermare un Frecciarossa mettendo un grissino sui binari”.
Il rapper “Pop-hoolista”, ragazzo di periferia che un tempo si vedeva grasso, non giocava a calcio, ascoltava musica punk e cominciava “autoproducendosi” sul web e lavorando intanto nel negozio di tatuaggi della sua ex fidanzata (motivo per cui Fedez e sua madre sono molto tatuati), oggi continua a scrivere da solo, dice, e registra album a Los Angeles, e pensa che la sua “fortuna” risieda “nel percorso”. Dopodiché “discute da solo i contratti”, Fedez (rifarà “XFactor” in autunno) e appare a suo agio nel ruolo non musicale di twittatore che ce l’ha con i figli di papà (bersaglio: Francesco Facchinetti), va a “Otto e mezzo” a parlare di vilipendio, declina anche in prosa il suo verso “chi fa politica e chi spaccia ha più o meno la stessa faccia” e non ama Matteo Renzi. E una sera, alle “Invasioni barbariche”, durante l’intervista con Daria Bignardi, Fedez ha riservato a Renzi una dedica di compleanno che pareva uscita dai banchi grillini della Camera (parlava di un premier che da piccolo attraversava la strada con le vecchiette, da bravo scout, e di un Renzi che da grande attraversava i cieli con l’aereo di stato per andare a Courmayeur). Eppure Fedez non vuole essere etichettato come grillino, e dice che un conto è condividere alcune battaglie un conto è “portare la bandiera del Movimento”, per il quale ha comunque scritto un inno: quello della festa al Circo Massimo dell’ottobre scorso, con strofa anti-Napolitano poi oggetto di polemiche (“caro Napolitano, te lo dico con il cuore, o vai a testimoniare oppure passi il testimone”, strofa che aveva fatto insorgere con fin troppa veemenza due senatori del Pd. Era finita come si suol dire in caciara, con Fedez assurto sul web a povera vittima dei “censori”).
[**Video_box_2**]Anche oggi assurge a “povera vittima”, questo Fedez che si accomoda nei panni del “ragazzo” e fa distinguo ma non rinuncia a buttare lì il classico “cui prodest?”, punto di partenza di ogni elucubrazione complottista sulla rete: a chi hanno giovato i disordini di venerdì primo maggio a Milano?, si è domandato (indiretto supporto è arrivato ieri dal Fatto, via intervista a Diego Abatantuono: “Non fermano i violenti perché non vogliono”, ha detto l’attore). E se Fedez, il 30 aprile, aveva diramato on line la lista motivata degli obiettivi nel mirino dei manifestanti “pacifici” (le banche perché finanziatrici dell’Expo, la società Manpower perché datrice di lavoro interinale, l’Inps perché l’Inps, basta la parola), attaccato come cattivo maestro da Maurizio Gasparri, suo nemico storico su twitter, lo stesso Fedez, il giorno dopo, si dissociava dalle azioni devastatrici del corteo “cattivo”. E a quel punto qualcuno tentava quantomeno di smitizzarlo: Nicola Porro immaginava per lui “la mamma di Baltimora”, quella che va a riprendere il figlio esagitato in piazza e gli tira letteralmente le orecchie, e Filippo Facci scriveva che Fedez era “ufficialmente un cretino”, promettendo “schiaffi” in caso di incontro fortuito. Solo che la smitizzazione del Fedez-che-esterna è ormai impossibile: sono artista dunque parlo, è il suo mantra, e ci mancherebbe, pazienza se quelli che parlano contro di lui facilmente si beccano raffiche di “venduti, vergogna!”, come spesso capita quando qualcuno scrive qualcosa contro personaggi e parole che piacciano alla cosiddetta pancia del web, dove se si diventa oracolo si è in qualche modo intangibili. (Intanto Sabina Guzzanti è insorta: “Giù le mani da Fedez”, ha scritto). Sei l’uomo televisivo dell’anno, gli hanno detto, ma tanto lui era già star di YouTube, autore di auto-cronache video, specchio della sua giornata. “Zedef-Chronicles”, si chiamano, e guardandole si apprende che il polemista un tanto al chilo, rapper autodidatta, a dispetto dei catenoni non è maledetto: “Sono un privilegiato, ho potuto fare della mia passione il mio lavoro”, dice, e nei video cucina a casa con la bella fidanzata, conosciuta fuori da un locale, facendo il cretino come tutti.
I fan su Twitter, intanto, non hanno perso tempo a infilzare i Porro e i Facci come avevano fatto tempo fa con Aldo Grasso (sua definizione di Fedez: “Va in tv, ma critica chi la guarda. Nudo e tatuato, troneggia sul Rolling Stone italiano. L’incoerenza è la sua virtù. Puntare il dito sul marcio, ma starci del tutto dentro: comodi, distaccati, divertiti. Non è il solo: il populismo garantisce ai contenuti di poter cambiare mille volte verso e direzione. Ma intanto la scena è occupata: basta esserci, per avere (la) ragione”. E Fedez la scena la occupa. Parla di giovani, parla di vecchi, parla pure di polizia. Ieri infatti il suo ufficio stampa diramava il seguente comunicato: “Ecco la reazione del cantautore rap sul suo profilo Facebook dopo che il sindacato di Polizia Coisp gli ha dato dell’invertito”. Seguiva riproduzione della pagina Facebook di Fedez: “Concludiamo questa mirabolante settimana con il Coisp, sindacato di POLIZIA (gli stessi che presero le difese degli assassini di Federico Aldrovandi per intenderci) che si diverte a darmi dell’INVERTITO. Ovviamente i vari Gasparri, Mughini, Facci e Porro che si sono prontamente spesi nell’infangarmi nei giorni scorsi, oggi non riportano la notizia… Giornalismo a intermittenza/convenienza? Auguratemi buona giornata, oggi ne ho bisogno!”. Gli manca solo l’autobiografia (a quando la candidatura a premier?).
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