Metti un Socrate nel giornale. La dialettica come dialogo e libertà

Alfonso Berardinelli
Si può immaginare Socrate che scrive sui giornali? Sì, poteva farlo, l’avrebbe fatto. Se non proprio lui, l’ateniese in persona, che concepì la filosofia come chiacchiera metodica, con uso di botta e risposta nonché di ironia, lo ha fatto un suo degno allievo, Guido Calogero.

Si può immaginare Socrate che scrive sui giornali? Sì, poteva farlo, l’avrebbe fatto. Se non proprio lui, l’ateniese in persona, che concepì la filosofia come chiacchiera metodica, con uso di botta e risposta nonché di ironia, lo ha fatto un suo degno allievo, Guido Calogero: inventore del liberalsocialismo, esponente del Partito d’Azione, fondatore, tra gli altri, del Partito radicale nel 1955 e collaboratore del Mondo di Mario Pannunzio. Ero appena ventenne quando leggevo ogni tanto la rubrica intitolata “Quaderno laico” che Calogero teneva su quel giornale. Poco dopo seguii un suo (per me indimenticabile) corso all’università di Roma dedicato alla dialettica.

 

Già, la dialettica. Proprio quella di cui erano sempre stati fieri pensatori marxisti, dirigenti politici e militanti comunisti. Senza dialettica sembrava proprio che non si potesse fare politica, perché non si sarebbero capite le oggettive “leggi di movimento” che regolano il corso della storia. Dunque, quella dialettica. Ma Calogero, che non era di fede marxista, ne aveva in mente anche un’altra, non come “logica delle cose”, degli eventi e dei fatti, che secondo Hegel e i suoi allievi materialisti Marx e Engels, procede di per sé, lo si voglia o no, in quanto ineluttabile forza storico-sociale. L’altra dialettica su cui Calogero confidava era una forma di rapporto comunicativo fra esseri umani. Era la dialettica in quanto dialogo. Da un lato (ci spiegava lui dalla cattedra) c’era la dialettica di Eraclito, di Hegel e Marx, che agisce tramite scontro, lotta, guerra, sempre e comunque, anche se gli esseri umani non la capiscono. D’altro lato c’era la dialettica come arte del dialogare, analisi attenta delle parole e dei discorsi per capire quanto c’è in essi di vero e di falso.

 

Proprio su questo punto Socrate aveva attaccato quel genere di filosofi chiamati Sofisti, che giravano e si facevano pagare per tenere meravigliosi, ipnotici discorsi, molto lunghi e senza interruzioni dialogiche. Il discorso lungo dei Sofisti aveva secondo Socrate il difetto di sembrare in se stesso esauriente: si chiudeva nella propria logica evitando la dialogica.

 

Il “Quaderno laico” di cui ora Guido Vitiello ha ripubblicato una scelta (liberilibri, pp. 205, euro 17) uscì sul Mondo dal 1960 al 1966. Brutti anni per una filosofia del dialogo come quella di Calogero. Erano gli anni del Neomarxismo rivoluzionario che prevedeva e programmava una dialettica dello scontro, non una dialettica del dialogo. Scontro che avviene e deve avvenire di necessità, facendo a meno della coscienza umana e perfino della “coscienza di classe”. Dunque, una forza barbarica che se ne frega della riflessione e disprezza il dialogo, roba da spiriti deboli.

 

Povero Calogero! Un uomo del passato che voleva evitare le distruzioni e fare collaborare cose diverse. In effetti la sua invenzione del liberalsocialismo (è Bobbio che gliela attribuisce) era un dialogo trasferito dalla filosofia alla politica. Invece di credere in un socialismo che cerca la giustizia (sociale) superando il liberalismo che si limita a cercare la libertà (individuale) Calogero voleva far dialogare e collaborare liberali e socialisti, perché una società giusta e libera deve essere tutte e due le cose, libera per ogni individuo e giusta per tutti.

 

[**Video_box_2**]Come si capirà, Calogero non è sorpassato e il conflitto fra le due dialettiche continua a essere all’ordine del giorno. La prima cosa che Vitiello mette in evidenza nella sua introduzione al “Quaderno laico”  è il carattere filosofico del giornalismo di Calogero e il carattere giornalistico della sua filosofia. Pubblicando nel 1967 una prima raccolta di questi articoli, Calogero stesso scriveva: “Questo è un libro di filosofia (il che significa di riflessione sulle strutture costanti del nostro vivere)… Partendo, di volta in volta, da singoli casi od eventi, ho cercato di far vedere come l’esigenza di orientarsi rispetto ad essi, sia per il giudizio da darne sia per il comportamento da adottare, dovesse di necessità sempre condurre a ritrovare e utilizzare ciò che suol chiamarsi filosofia”.

 

Finché si accettano (si scelgono) le regole della democrazia (per ricavarne sia libertà che giustizia) la dialettica antiautoritaria di Socrate resta la migliore. Senza dimenticare che la politica è una brutta bestia e che con lui il potere della polis non fu molto dialogico, lo lasciò parlare e poi lo condannò a morte.

 

Quanto a Calogero filosofo “laico”, sarà bene lasciargli un momento la parola a scanso di equivoci: “Il laicismo non è qualcosa che appartenga di per sé allo Stato in quanto si differenzia dalla Chiesa. Ci possono essere Chiese fortemente liberali, come quella quacchera, e Stati fortemente confessionali, anche se poco religiosi, come lo Stato fascista, o quello nazista. Il laicismo non si identifica con il non andare a messa (…) consiste nel fatto di non accettare mai, in nessun caso, l’organizzazione e l’esercizio di strumenti di pressione religiosa o politica o sociale o morale o economica o finanziaria al fine della diffusione di certe idee e della repressione di certe altre”.

 

Ripeto: non accettare mai, in nessun caso, pressioni di qualunque genere che impongano certe idee e ne proibiscano altre. Il radicalismo di Calogero merita di avere un futuro.