Favole belle da vedere (Garrone). Scenari post apocalittici sublimi (Miller)
IL RACCONTO DEI RACCONTI di Matteo Garrone, con Toby Jones (concorso)
Coraggioso e bravissimo. Lo cunto de li cunti sembrava inadattabile: per leggerlo bisogna tradurlo, il napoletano seicentesco di Giambattista Basile è strettissimo (dove sta poi lo scandalo se poi il film viene girato in inglese?). E sono favole: ci sono i draghi, i negromanti, le vergini a cui toccano sempre compiti delicatissimi, le fanciulle da marito, i pretendenti con prove da superare. Non il nostro genere preferito: ci siamo innamorati della serie “Il trono di spade” quando abbiamo capito che era puro Shakespeare. Ma il film è così bello da guardare e da ascoltare (in inglese, se potete) che mette voglia di altre favole. Matteo Garrone ne sceglie tre, e tutte – anche se non sembra – sono legate ai film precedenti: bellezza e orrore, ostacoli e desideri (avviso ai naviganti: le smanie esistevano anche prima del Grande Fratello), gioventù e vecchiaia.
MAD MAX:FURY ROAD di George Miller, con Charlize Theron (fuori concorso)
Mel Gibson l’hanno cambiato, per raggiunti limiti di età (e di antisemitismo). Il regista George Miller rimane al suo posto: non sapessimo che ha 70 anni, giureremmo in un giovanotto della “nuova nuova” Hollywood (la nuova e basta era Steven Spielberg). Adrenalina, idee, grande sfarzo visivo e ironia adeguata alla saga sono il suo segreto – si prendono più sul serio certi film di supereroi. Il nuovo Mad Max – tacciano gli irriducibili “o Gibson o morte” – è Tom Hardy, incatenato e con la museruola in ferro stile Hannibal Lecter per una buona mezz’ora. Il tempo che arrivi Charlize Theron rapata a zero, con un braccio ridotto a moncherino, e nel deserto post apocalittico nulla sarà come prima.
AN di Naomi Kawase, con Kirin Kiki (Un certain regard)
E’ la storia di una vecchietta brava a preparare il ripieno per i dorayaki, una marmellata dolce di fagioli rossi. Bene, e quando comincia? Dopo mezz’ora di film, ma sembrava di più. E poi cosa succede? Succede che cucina senza tagliar via le parti noiose: messa a bagno, sciacquatona, cottura a fuoco lento, sciacquatina, guai a rimettere la pentola sul fuoco prima che i legumi e lo zucchero abbiano fatto amicizia, suadenti paroline di conforto. E poi? Vendono tanti dorayaki, ma l’invidia delle persone cattive colpisce. Meno noioso, comunque, del film che la regista giapponese portò a Cannes l’anno scorso – adolescenti sguazzanti nella Laguna Blu e madri agonizzanti, titolo “Still the Water” – suscitando l’entusiasmo di Concita De Gregorio (i suoi giudizi a briglia sciolta già ci mancano, nella rassegna stampa del mattino). A questo siamo ridotti.
[**Video_box_2**]OUR LITTLE SISTER di Hirokazu Kore-Eda, con Ayase Haruka (concorso)
Tre funerali e nessun matrimonio. Papà muore, tre sorelle adulte ne accolgono in casa una piccola, nata dalla relazione con l’amante (così vien chiamata dalla madre dopo anni, la nonna porta meno rancore). Dal regista giapponese di “Father and Son”: grande cinema, sublime naturalezza, attrici straordinarie, sorellanza a piovere – stabilita a tavola, anche l’oriente sembra essere passato dalla cerimonia del tè ai fornelli sempre in scena, due in due giorni sono preoccupanti. Manca la trama forte del film precedente: due bambini scambiati in culla – il figlio del ricco e il figlio del povero, ovvio – e il tentativo di rimediare.
ONE FLOOR BELOW di Radu Muntean, con Teo Corban (Un certain regard)
Nei film rumeni o parlano a raffica o non parlano mai. Pregiudizio (nostro) vorrebbe che le storie con i dialoghi a macchinetta – uno su tutti: “4 mesi, 3 settimane, 2 giorni”, Palma d’oro 2007 – siano meglio delle storie quasi mute. Sbagliato. Altro pregiudizio (nostro) vorrebbe che i film girati nello squallore, con gente che fa un mestiere deprimente, con un figlio che negli incubi non ricorda la password del computer siano peggio dei film dove le piastrelle del bagno son guardabili. Sbagliato di nuovo: in “La morte signor Lazarescu di Cristi Puiu un poveretto veniva sballottato da un pronto soccorso all’altro, e ci piacque moltissimo. “Un piano sotto” – stesso regista del parlatissimo e litigioso (corna) “Tuesday, After Christmas” – riduce le parole, sembra partire lento e non avanzare mai, ma tiene incollati fino alla fine. “La finestra sul cortile” è ora sul pianerottolo.