Addio a Marisa Volpi, protagonista della cultura "femminile" sempre stupita delle cose del mondo
Si è spenta l'altra notte a Roma la luce di una donna non comune: Marisa Volpi, valente scrittrice, storica dell'arte e testimone di un protagonismo femminile non dirazzato nell' ideologismo fine a sé stesso. Aveva quasi ottantasette anni, portati talmente bene che mi sembrò quasi una ragazzina tutta sorridente quando due anni fa ricordammo il ventennale della scomparsa di mio padre assieme a lei e ad altri. Era una donna speciale. Una borghese liberale di famiglia agiata marchigiana, era cresciuta a Roma nella casa di Via Tolmino, tra corso Trieste e la Via Nomentana, che poi divenne il titolo di un suo prezioso racconto autobiografico. Appassionata d'arte, Marisa aveva militato tra gli universitari del PCI fino al 1956, ma se ne era allontanata per quello spirito di libertà intellettuale che ne distingueva il profilo di donna sensibile e indipendente. Marisa si era formata al magistero fiorentino di Roberto Longhi, e da lui aveva ereditato l'arte di scrivere sull'arte, quella trasposizione letteraria del linguaggio artistico, che tanto si confaceva al suo temperamento di scrittrice, quale si rivelò in seguito col suo romanzo Il Maestro della Betulla (Vallecchi, Premio Viareggio 1986).
Non credevo che per lei il tempo dovesse passare. Era sempre felicemente stupita delle cose del mondo, nostalgica e saggiamente fantasiosa, come attraversata dal desiderio di plasmare esteticamente ogni aspetto dell'esistenza dimenticando così i dolori e il brutto del mondo. La ho conosciuta bene negli anni Ottanta e diventammo subito amici. Insegnava all'Università di Roma la storia dell'arte. Ma soprattutto viveva a contatto con gli artisti, di cui era estimatrice (Consagra, Scialoja, Dorazio, Sadun, Twombly, e tanti altri con loro) alternando la critica d'arte al commento storico, dall'impressionismo al simbolismo, dall'espressionismo all' astrattismo.
"L'arte di scrivere sull'arte" la portò sempre più lontano dalla critica d'arte dopo che le venne a noia il ripetersi del neoavanguardismo (con le ricadute "transavanguardiste"). Preferì la narrativa dando alle stampe una decina di volumi con racconti che hanno per soggetto episodi della vita di artisti come Berthe Morisot, Arnold Böcklin, Edgar Degas. Fu molto legata a Plinio De Martiis collaborando con lui ai quaderni de La Tartaruga e negli anni Ottanta sostenne i pittori che Plinio amava di più come contraltare della postavanguardia dilagante (Franco Piruca, Aurelio Bulzatti, Maurizio Ligas). Dopo di che, la scrittura: tersa, dolcemente divagante, indagatrice del vissuto, memorialismo privato elevato ad emblema, piccoli cammei che restano prezioso documento di una testimone discreta e di una osservatrice profonda, meditativa, emotivamente partecipe.
Ricordo tra gli altri il breve e intenso libro "Uomini", un riassunto di incontri, amicizie, sentimenti, esperienze di amore e vita morale. Ma varrebbe ancora parlare di "Non amore", un altra prova letteraria di finissima qualità che la distinse, ed altre ancora realizzate negli anni Novanta, con la rievocazione del mondo preraffaellita inglese, di Bocklin, e di altri importanti amori che Marisa ebbe per episodi dell'arte europea, per i suoi maestri e protagonisti. Appassionata com'era, e per nulla superficiale, Marisa amava entrare nei personaggi di cui ripercorreva l'esperienza vitale ed estetica. Si immedesimava in loro per ricavarne una lezione sempreverde, al di là del tempo e delle circostanze storiche, tracciando assieme al saggio critico una parafrasi letteraria ricca di pathos e fantasia. Nel far vivere, rivivendole, le cose belle del passato consisteva la sua migliore qualità di scrittrice e di sapiente esperta d'arte. Non a caso per i suoi ottanta anni (2008) venne festeggiata all'università di Roma con un volume intitolato 'L'occhio senza tempo.Saggi di critica e storia dell'arte contemporanea. (Lithos, Roma 2008). Per l'occasione parlai anche io facendole festa e mille ringraziamenti per la sua vitalissima lezione di una ricerca disinteressata del bello 'senza tempo' che la distingueva come intellettuale di primo ordine. Senza tempo, era Marisa, e tale voleva che fosse la sua opera. E adesso, che anche per lei il tempo si è fermato, la sua opera continua a far rivivere le emozioni che ha saputo trasmettere al di là di sé stessa. Il mio più caro abbraccio, Marisa.
Universalismo individualistico