“Le colpe di internet dietro alle notizie false dei giornali: è giallo”
Non siamo ancora usciti – e mai usciremo – dall’estenuante quanto necessario dibattito sui cambiamenti del mondo dell’informazione e sui nuovi compiti del giornalismo. Tra ricette ogni volta definitive e accuse più o meno a caso al web come origine di ogni male, ci si aggira ormai da anni sulle sponde del grande fiume in piena che è diventata l’informazione senza riuscire più a distinguere bufale da notizie, gossip da cronaca, studi approfonditi da statistiche a caso. Ora sarà anche vero che – come dice scherzando ma non troppo chi fa questo mestiere da una vita – tante volte il verosimile è più bello del vero, ma data la rapidità con cui le notizie circolano non si tratta più solo di “abbellire” una storia con particolari più gustosi, ma di confondere milioni di lettori lasciando loro informazioni false e della cui falsità probabilmente non verranno mai a sapere.
Luca Sofri tra le altre cose è direttore del Post, e da anni raccoglie (prima in una rubrica sulla Gazzetta, poi sul suo blog) le cosiddette “notizie che non lo erano”, storie date per vere da quotidiani e siti poi rivelatesi infondate o inventate. Le ha messe tutte assieme nell’omonimo libro da poco uscito per Rizzoli, che ha però il difetto di avere un sottotitolo fuorviante: “Perché certe storie sono troppo belle per essere vere”. Fuorviante perché più che “belle” le storie che Sofri ripropone sono semmai “assurde”, e danno uno spaccato desolante (a tratti fin troppo) del panorama informativo italiano, a partire dai cosiddetti “giornaloni”, le testate cioè da cui un lettore si aspetterebbe controllo delle fonti, verifica e cautela prima di pubblicare certe notizie. Nel catalogo a tratti surreale raccolto nel libro si ritrovano “notizie” che tutti abbiamo letto, commentato, spesso rilanciato: l’orologio di George W. Bush rubato da un albanese durante la visita a Tirana; le dimissioni mai avvenute del ministro Kyenge diventate “flash” sulle home page di tutti i principali siti dopo aver male interpretato un comunicato del suo addetto stampa; il “bacio gay” dell’ex calciatore spagnolo Guti sorpreso a salutare la sorella dai capelli corti; Papa Francesco che va a trovare i poveri di notte.
“Sui quotidiani italiani è tutto incubo, è tutto allarme, è tutto shock, è tutto bufera, è tutto panico, è tutto ‘ira di’, eccetera”, scrive Sofri elencando i tic tipici di chi scrive – e soprattutto titola – gli articoli, siano essi per l’edizione cartacea o per quella web. Leggendo il libro si capisce bene infatti che quella secondo cui online le notizie sono meno accurate è una leggenda o quasi. E’ vero che da qualche anno la nowness è diventata criterio principe per la scelta di cosa pubblicare – come se i siti internet dei giornali fossero social network, in cui ciò che compare più in alto è solo l’ultima cosa in ordine temporale, non per forza la più interessante, o vera – ma la stessa superficialità, sommata alla ricerca di sensazionalismo, si trova nelle pagine delle edizioni in edicola. Se a tutto questo si aggiunge quello che Sofri chiama “conformismo delle redazioni”, si spiega per esempio perché solo in Italia si è parlato per giorni con toni allarmati di una “ragazza nera bruciata viva dal Ku Klux Klan” in America, mentre i giornali statunitensi la trattavano in breve e in altri termini: se il sito di un quotidiano lancia una notizia, è molto probabile che tutti gli altri faranno lo stesso, senza preoccuparsi di verificarne la fondatezza. Si assiste così a copia e incolla di lanci di agenzie (refusi compresi) con equivoci come quello su un ciclista mai esistito, Mauro Di Sormano (era il muro di Sormano, una strada in salita), o errori di traduzione per cui quando c’è una sparatoria le 50 casualties riportate dai giornali americani da noi diventano 50 morti, e il plot diventa complotto.
A cadere in questi errori non sono solo le testate italiane. Ci sono molti esempi di giornali stranieri che riportano notizie che non lo erano, anche se il livello di cialtroneria in quelli italiani sembra inarrivabile (quanti esempi di notizie basate su comunicati stampa di aziende che reclamizzano i propri prodotti ma che negli articoli diventano “esperti”), i quali raramente ammettono gli errori (quante volte è morto Fidel Castro?), ma semplicemente fanno scomparire la “notizia”, non prima di avere utilizzato la formula paracula per eccellenza: “E’ giallo”. Formula seconda solo all’altro espediente che redattori e titolisti pigri ormai usano con assiduità: prendere le distanze da una notizia mettendola tra virgolette, attribuendola cioè a un vago qualcuno che l’avrebbe detto (“Il Cav. indagato in Irlanda”). Se ne esce? Se si cerca qualcuno che invece di urlare aiuta il lettore a vagliare le cose importanti e trattenere ciò che – nel possibile – è vero, sì.