L'Amy Winehouse per soli fan e un Woody Allen che di risate non ne strappa nemmeno una
Cannes. IRRATIONAL MAN di Woody Allen, con Joaquin Phoenix (fuori concorso)
I film di Woody Allen si presentano (almeno) due volte, la prima come fragrante soufflé caldo di forno, la seconda come minestra riscaldata. Qui siamo a tre, essendo i precedenti “Crimini e misfatti” (anno 1989) e “Match Point” (anno 2005). Ormani sulla ricomparsa di “Delitto e castigo”, appoggiato su un tavolinetto, bisognerebbe mettere una moratoria. Il professore di filosofia Joaquin Phoenix incanta le studentesse e le mogli dei colleghi con il suo male di vivere, anche questo un po’ di risulta. I guai cominciano quando decide di passare all’azione per rendere il mondo un posto migliore (il volontariato per i bambini poveri, con l’egoismo di chi usa le sofferenze altrui per alleviare la propria, non aveva fornito il conforto sperato). Meglio del Viagra, anche a raggio più ampio: “Mamma, mamma, finalmente la vita ha un senso!”. Il mestiere è tanto, gli attori sono bravi, ma non scappa una risata vera che sia una.
AMY di Asif Kapadia (fuori concorso)
Le prime canzoni Amy Winehouse le scrive sul quaderno a righe, con i cuoricini al posto dei puntini sulle i. Poi i cuoricini spariscono, la ragazzotta inglese comincia ad avere successo, si fa il trucco da pantera e certe cotonature che la alzano di trenta centimetri. Sapendo come è finita – il 23 luglio 2011 – aspettiamo che entrino in scena il marito, le droghe, i genitori. Se non altro per capire come mai la famiglia - che aveva arruolato Asif Kapadia per girare il documentario, fornendo le foto e i filmini casalinghi - adesso minaccia di denunciare il regista. Dopo Cannes, un po’ di pubblicità è comunque gradita. Tra una canzone e l’altra – secondo Kapadia il diario preciso delle delusioni amorose – parlano amici e conoscenti, ed è una gara a dire “come è potuto succedere?”. Mezz’ora di meno e un montaggio migliore avrebbero reso il documentario più adatto a un Festival e non al Fan Club.
THE SEA OF TREES di Gus van Sant, con Matthew McConaughey (concorso)
Viaggio di sola andata dal Massachusetts al Giappone. Ormai Matthew McConaughey è talmente entrato in modalità “di che crepo stavolta?” che quando sull’aereo rifiuta il pranzo pensiamo già al peggio. Meta della gita: Aokigahara, detta anche la foresta dei suicidi (avverte il cartello sulla staccionata: “ripensateci, siete ancora in tempo”). Sta per ingoiare le pillole portate da casa - e intanto noi a chiederci cosa succederà dopo, magari è un film di zombie – che arriva Ken Watanabe. In apparenza, un suicida che ci ha ripensato, si è perso, gira malconcio cercando di uscire dal mare d’alberi. Matthew mette via le pillole e lo aiuta, parte un altro film che sembra “Into the Wild”. Poi i flashback – matrimonio infelice con Naomi Watts, grave malattia superata, tremenda sfiga nel ritorno dall’ospedale a casa, dovete sapere tutto per misurare il disastro – virano verso “Le parole che non ti ho detto”, o altro romanzetto che aiuti a superare il lutto chiacchierando con i cari estinti.