“Non puoi recensire una festa”. La forza del romanzo per Vanni Santoni
Un funzionario statale riferisce di misteriosi, caotici riti di musica e alcool, che radunano le persone nei boschi, con paura e disgusto: le donne hanno “lasciato vuote le case/ per rituali falsi da invasate, brancolano su ai monti/ nel profondo dei boschi; sono in adorazione di questo demonio, l’ultima novità” ma assicura che le metterà “in gabbia, dentro reti di ferro/ e presto questi baccanali scandalosi non andranno più avanti!”. Sono passati più di duemila anni dal Penteo delle “Baccanti”, ma non è difficile trovare espressioni simili nelle cronache del giorno dopo sui rave party. E forse, proprio come all’austero governatore tebano, la forza misteriosa del dionisiaco continua a rivolgere ai suoi eredi contemporanei la stessa, spiazzante affermazione: “Tu non sai perché vivi, né che fai, né chi sei.” Proprio al mondo dei free party Vanni Santoni, che ha racontato le vie di Firenze, la Resistenza, ma anche un fantasy italiano che prende le mosse incendiando le “Città invisibili” di Calvino, dedica il suo ultimo romanzo “Muro di Casse” nella consapevolezza che “se, come diceva Martin Mull (e non Frank Zappa, al quale viene spesso attribuita la frase), “scrivere di musica è come ballare di architettura”, si capisce che scrivere di qualcosa che è musica, ma anche ballo, architettura (o più precisamente scenografia), controcultura, loisir, rito e addirittura tentativo di esplorazione del trascendente, risulta molto complesso”. Ne nasce un viaggio nell’Europa degli ultimi vent’anni, ironico – basti pensare al contributo che i navigatori offrono alle nostre conversazioni in macchina, ma dove i sorrisi e l’onnipresente “sudiciumaio” non impediscono alla natura esistenziale di questa cerca sacra contemporanea di spiccare in tutta la sua forza: “E se fosse solo una forma molto avanzata di svago?”, viene domandato, per sentirsi rispondere: “Lo è. Anzi, proprio perché lo è, perché non c’è dottrina se non quanto viene dimostrato attraverso la pratica, il culto che officiavamo era qualcosa di vero. Perché sognare un quarto d’ora di celebrità se potevi prenderti dieci o venti ore al centro dell’universo? Vaffanculo a tutto e tutti, no? E la bellezza. Potevamo creare ovunque la bellezza: in ogni angolaccio, sotto a ogni cavalcavia, poteva sgorgare una fonte di meraviglia. Ogni periferia, ogni cittadina di provincia senza più guizzi poteva tornare a splendere e ribollire per una notte”. Non si può non pensare a Nietszche che scriveva “nel canto e nell’ebbrezza l’uomo si palesa come membro di una comunità superiore: egli ha disimparato a camminare e a parlare, e danzando è in procinto di volarsene via nell’aria. Nei suoi atteggiamenti parla la magia”. Santoni constata che “Non puoi recensire le feste…”, eppure afferma che il romanzo resta uno degli “strumenti più potenti”.
Il Foglio gli ha chiesto cos’è che il semplice saggio non gli avrebbe permesso. “A me non interessava fare un elenco di dati. Mi interessava rappresentare, rendere giustizia a un movimento e a un’epoca, trovare la traccia profonda di qualcosa che a diversi gradi di coinvolgimento ha toccato, e in modo significativo, tante vite. Era inevitabile allora usare il romanzo. Come ha scritto Gospodinov, ‘il romanzo non è ariano’. Neanche i free party lo sono, anzi sono qualcosa di profondamente meticcio e sincretico”. In tanti stereotipi il rave pare incarnare quanto di più lontano dall’armonia, dalla profondità riflessiva, dalla bellezza che costituiscono l’esperienza artistica. Eppure oggi in classe si studia Baudelaire che nei suoi giorni fu censurato come immondo. Si fanno tesine sui “paradisi artificiali” nell’Ottocento o sulle Baccanti. “Vi è una scollatura inevitabile tra avanguardie e narrazioni mainstream, non solo accademiche. E, sì, il rave arrivava in cronaca solo quando accadeva qualcosa di male, e mai perché qualcuno volesse raccontare, come scrive invece Cleo, una dei personaggi di ‘Muro di casse’, che ‘quando le decine di soundsystem iniziano a sparare al massimo e le luci stroboscopiche sono lame nel buio, quando ogni singolo dj cerca di dare il meglio e tutti i ragazzi escono dalle tende, dalle auto, dagli accampamenti raffazzonati e dal bosco per piazzarsi sotto cassa, e tutto prende a battere all’unisono, il teknival diventa uno spettacolo di una bellezza straziante”.
[**Video_box_2**]Da più di un anno, come si dice spesso agli studenti diventati docenti, è passato dallèaltra parte della barricata, perché è anche editor di narrativa per la Tunué. Qual è il compito di un editor intelligente, oggi, in Italia? “La risposta dipende da molti fattori, anzitutto il tipo e la dimensione della casa editrice per cui lavora. Nel mio caso, la cosa migliore che posso fare credo sia cercare nuovi talenti o voci non ancora giunte alla perfetta maturazione e condurcele. Fare ricerca, come si diceva una volta. E non ingannare il lettore, ma puntare sempre e solo sulla qualità”. Quali sono i primi difetti di cui un giovane scrittore deve imparare a disfarsi, e cosa invece deve cercare di tenersi stretto? “Deve scrivere tutti i giorni. Trovare la disciplina è la cosa più importante, se c’è quella verrà anche il resto. E leggere tanto, e roba tosta, ma quello è ovvio”. Flannery O’ Connor diceva che per scrivere narrativa bisogna restare incollati alla sedia, anche quando non succede niente. E’ un suggerimento che ti senti di condividere? “Sì, la disciplina è tutto. Come diceva Vonnegut, l’ispirazione è per i dilettanti”. (7. continua).
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