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Non basta defilarsi per non essere sconfitti. Lezione irish per la chiesa

Nicoletta Tiliacos
Il referendum irlandese sul matrimonio gay dimostra che non basta tirarsi fuori da una competizione per evitare di essere considerati perdenti. Gli errori di strategia dei vescovi e un paese che getta “il bambino della fede con l’acqua sporca del clericalismo”.

Roma. Il referendum irlandese sul matrimonio gay dimostra che non basta tirarsi fuori da una competizione per evitare di essere considerati perdenti. La chiesa cattolica irlandese, che ha scelto di rimanere defilata e non giocare la partita, è la vera sconfitta della sfida di cui il 22 maggio si è perfezionato solo l’ultimo aspetto simbolico. A leggere certi commenti, si potrebbe pensare infatti che fino a oggi gli omosessuali in Irlanda fossero privi di diritti. E invece dal 2010 esiste l’unione civile gay, in tutto e per tutto parificata al matrimonio, dallo scorso gennaio anche con la possibilità di adozione. Alla vigilia del referendum, inoltre, era stata annunciato, indipendentemente dal responso delle urne, un prossimo provvedimento per la legalizzazione dell’utero in affitto. Rimaneva dunque solo l’ultimo ostacolo simbolico da abbattere, così come in Francia e in Gran Bretagna e negli Stati Uniti e ovunque: il termine “matrimonio” da applicare a tutti. Che questo ora avvenga perfino nella cosiddetta “cattolicissima” Irlanda è la novità sconvolgente che fa gridare al miracolo chi non vede l’ora, anche in Italia, di arrivare presto allo stesso esito, passando per unioni civili da trasformare in un paio di passaggi (tribunali e Consulta) in matrimonio vero e proprio.

 

Torniamo all’Irlanda. In queste ore c’è chi sottolinea la diversità di aplomb dei perdenti irlandesi rispetto a quelli francesi. Sobriamente pronti a riconoscere la sconfitta e a farsene una ragione i primi, tuttora bellicosi e sulla breccia i secondi, che negli ultimi tre anni, dopo il “mariage pour tous” approvato dal Parlamento francese, hanno visto crescere adesioni, ruolo politico, capacità di iniziativa. E’ che in Francia la mobilitazione cristiana contro le nozze gay – e soprattutto contro lo scardinamento della filiazione che questo comporta – si avvale fin dall’inizio di argomenti e di alleati laici, come dimostra l’appello contro l’utero in affitto di centosessanta esponenti della sinistra superlaica, pubblicato dieci giorni fa da Libération; in Irlanda tutto questo non è avvenuto o comunque è avvenuto troppo tardi. Ammutolita dal timore di vedersi per l’ennesima volta rinfacciare scandali veri e presunti, la chiesa d’Irlanda ha rinunciato alla prima linea, quasi ammettendo di non aver diritto di parola. Su Causeur.fr, il sito laico diretto da Elisabeth Lévy, un editoriale dedicato al referendum irlandese sottolinea il peso dell’unanimità politica e dell’azione pro nozze gay di sigle che vanno da Google a Facebook, da Twitter a Uber. Nell’entusiasmo egalitarista cullato dai social network, che fa sentire buoni, bravi e giusti perché i diritti sono uguali per tutti, scrive Causeur, si è persa tra i giovani la memoria di quello che il cattolicesimo irlandese ha rappresentato in termini di identità nazionale e di lotta per l’emancipazione dell’Inghilterra protestante. Prevale oggi il fastidio – in molti casi il rifiuto – per una chiesa che ha a lungo avuto il monopolio educativo, e che oggi rischia, secondo Causeur, di veder gettato “il bambino della fede con l’acqua sporca del clericalismo”, in una situazione in cui crollano i fedeli praticanti e le vocazioni. “Nella velocissima apostasia di questi ultimi decenni – scrive ancora Causeur – l’Irlanda si disfa di alcune storiche catene clericali, ma si trova di fronte a un vuoto morale che non può essere colmato né dal liberalismo, che ha portato l’isola alla rovina, né il risorgente nazionalismo dello Sinn Fein, snaturato in politica di prossimità”. La chiesa cattolica irlandese ha scelto di lasciare – tardivamente, come si è detto – ai laici del collettivo Mothers and Fathers Matter (una Manif pour tous irlandese) la parola nella campagna referendaria. Ma se quella scelta ha pagato in un paese secolarizzato come la Francia, non è azzardato ipotizzare che la prudenza della chiesa sia stata vissuta in un contesto molto diverso – la già “cattolicissima” Irlanda – come una sorta di diserzione, magari dettata da ottime intenzioni. Anche per questo la lezione irlandese va considerata con attenzione, da chi pensa che abbia senso combattere contro il Mondo Nuovo (cfr. Huxley).

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