Ragioni per cui vale la pena di discutere del referendum sulle nozze gay
Roma. “Parliamone. Dibattiamone. Scontriamoci. Argomentiamo. Facciamolo insomma anche noi il referendum irlandese”: è la proposta del direttore del Foglio, Claudio Cerasa, rilanciata da Giuliano Ferrara: “Il referendum consultivo sulle nozze omosessuali? Perché no? Basta una leggina di un articolo, che renda possibile un referendum consultivo su questioni di rilevante interesse etico-sociale”. Non dimentichiamo che, prima del caso irlandese, all’epoca dell’approvazione parlamentare del “mariage pour tous” in Francia il referendum era stato chiesto dal movimento di chi gli si opponeva. A escluderlo categoricamente, in quella circostanza, furono coloro che secondo le leggi francesi avevano il pieno potere di indirlo, e cioè il presidente François Hollande.
Ma, al di là della fattibilità concreta, quale può essere il significato di un pronunciamento popolare su una materia come il matrimonio omosessuale? Il filosofo Massimo Cacciari nota che “se un referendum è stato fatto per questioni fondamentali come il divorzio e l’aborto, non si vede perché, una volta approvata una legge riguardante le unioni tra persone dello stesso sesso, non dovrebbe essere possibile sottoporla a referendum. Ma ancora prima, penso sia indispensabile una consultazione vera, nel senso più ampio e profondo del termine, su un tema che porta con sé una colossale trasformazione di civiltà. Occultare o minimizzare questo aspetto sarebbe delittuoso. Il matrimonio, nelle civiltà indoeuropee e ovunque, si è sempre basato sull’unione di sessi diversi. Stabilire che non deve essere più così non può essere qualcosa da affidare all’ordinaria amministrazione o ai talk-show del martedì sera. Personalmente, da sempre sostengo l’inesistenza di una famiglia ‘naturale’. Tuttavia, fino a oggi, devo osservare che la famiglia è stata sempre fondata sull’unione tra uomo e donna. Cambiare questo si porta dietro tutto, comprese la generazione dei figli e le modalità del loro riconoscimento. Cambia un elemento fondamentale della civiltà, non possiamo nascondercelo”.
Ernesto Galli della Loggia, storico ed editorialista del Corriere della Sera, osserva invece che “il problema di un referendum sull’istituzione matrimoniale, da riservare o meno a persone di sesso diverso, mi sembra semplicemente mal posto. La Costituzione, che parla di famiglia come ‘società naturale fondata sul matrimonio’, a questo proposito dice già tutto. Ma mettiamola per un attimo da parte e proviamo a parlare in termini cosiddetti operativi. Non dobbiamo cadere nella trappola dell’individualismo libertario, pensando che quella di cui sta discutendo sia tutta una quesione di diritti soggettivi o di riconoscimento giuridico di fatti affettivi. Il criterio guida da considerare è il punto di vista dei diritti dei bambini, compresi quelli che verranno. Il vero referendum da farsi è quello sullo stato civile di chi viene al mondo, a partire dalla domanda: ha diritto ogni bambino che nasce a un padre e a una madre? Si stabilisca che il riconoscimento di un figlio è opera della madre naturale e, se questa non volesse, il bambino (come succede già ora) passa in carico ai servizi sociali per essere dato in adozione, vedendo così soddisfatto comunque il diritto a una famiglia con un padre e una madre. Una volta stabilito questo, non c’è più utero in affitto e tecnoscienza che tenga. E’ ovvio, una donna può fare un figlio con chi vuole, ma se decide di escludere il padre non per questo la sua compagna potrà rivendicare lo status di madre. Questo sarebbe il referendum che affronta la vera questione in gioco: non si può disconoscere o ledere il diritto soggettivo (questo sì, davvero naturale) di chi verrà dopo di noi ad avere un padre e una madre. Un referendum stabilisca allora che allo stato civile si può essere registrati da due genitori di sesso diverso, se sono due, altrimenti dalla madre e basta”.
[**Video_box_2**]Claudia Mancina, docente di Bioetica dei diritti, nota che “non è facile parlare di una cosa che palesemente in Italia è impossibile, anche se tante volte si è parlato di introdurre il refrendum propositivo, senza tuttavia che questo avesse esito. In particolare, sul tema delle unioni tra persone dello stesso sesso, penso che la via parlamentare, quella cioè seguita ovunque, sia la migliore possibile. Quella sulle unioni tra persone dello stesso sesso è una normale legge. Penso semmai che, vista la capacità dello strumento referendario di accentuare i conflitti ideologici, è il caso di tenersene lontani a maggior ragione in questo caso. Sul matrimonio gay il referendum non è né necessario né possibile, ed è meglio così”.