Opzione Benedetto
Roma. “Così questa notte mi rivolgo a voi, la grande maggioranza silenziosa dei miei concittadini americani, per chiedervi sostegno”. Quando il presidente Richard Nixon parlò così, il 3 novembre 1969, chiedendo nuova fiducia sulla guerra in Vietnam, sapeva già che la silent majority in America esisteva e l’aveva da poco eletto come presidente (repubblicano) alla Casa Bianca. Dieci anni dopo, Jerry Falwell lanciava il movimento chiamato Moral Majority. Sempre nella galassia vicina al Partito repubblicano, sempre con la certezza di essere maggioranza nel paese, ma questa volta con la convinzione aggiuntiva di condividere una scelta morale e religiosa, quella cristiana. E il convincimento, altrettanto granitico, di poter utilizzare i meccanismi democratici per ribaltare lo strapotere di élite secolarizzate di ogni risma, fossero quelle dell’Ivy League, di Hollywood, delle aule giudiziarie o dei corridoi di Washington DC. Fin da allora, scrive oggi il columnist Damon Linker in un saggio pubblicato su The Week, quest’idea in fondo non aveva mai abbandonato i social conservatives americani: nel paese siamo maggioranza, seppure silenziosa e a volte silenziata, e in democrazia questo conterà pure qualcosa. Così, quando alla metà degli anni 90 si susseguirono decisioni giudiziarie considerate allo stesso tempo secolarizzate e troppo vincolanti per i fedeli cristiani, la rivista conservatrice First Things organizzò numeri speciali intitolati “E’ la fine della democrazia?”, con editoriali nei quali si leggeva che presto i credenti americani avrebbero dovuto scegliere: “Rifiuto d’obbedire o resistenza, disobbedienza civile o rivoluzione moralmente giustificata”. Retorica infiammata, osserva oggi Linker, ma pur sempre fondata sulla convinzione della destra religiosa d’essere maggioranza: come si permetteva dunque il potere giudiziario, nemmeno democraticamente legittimato, di limitare la maggioranza? Poi a fasi di pessimismo si alternarono fasi di ottimismo, come quando una maggioranza conservatrice sui valori riuscì a eleggere un presidente consentaneo come George W. Bush.
Adesso, però, moltissimo pare essere cambiato. E non è questione di un passeggero pessimismo, indotto magari dall’affermazione ripetuta del presidente democratico e liberal Barack Obama. Scrive Linker che “all’improvviso i social conservatives hanno iniziato a pensare l’impensabile: è possibile che oggi siamo noi la minoranza, con le nostre libertà sottoposte ai capricci di una maggioranza ostile che userà i poteri dello stato moderno liberale, a partire dalle leggi anti discriminazione, per inculcare un’adesione pubblica a norme secolariste e anti cristiane?”. Dubbi che montano all’indomani dell’affermazione dei matrimoni gay in Irlanda, avvenuta non su input di qualche singolare giudice progressista ma grazie a un’ampia consultazione popolare e referendaria. Addio moral majority, dunque? Il dubbio in America è amplificato dall’accoglienza riservata in queste settimane ai Religious Freedom Restoration Acts, cioè alle leggi sulla libertà religiosa approvate in stati come Indiana e Arkansas, presto criticate pure da esponenti repubblicani e del mondo del business, e perciò emendate in accordo alle preferenze che un tempo sarebbero state dette liberal.
[**Video_box_2**]“Ecco allora che arriva l’Opzione Benedetto”, come l’ha chiamata il seguitissimo blogger conservatore Rod Dreher. Con un’allusione esplicita a quanto scriveva nel 1981 il filosofo scozzese Alasdair MacIntyre, il quale auspicava l’arrivo “di un altro san Benedetto, senza dubbio molto diverso” dal primo nato a Norcia e che nel VI secolo strutturò per primo la vita monastica attorno alla sua Regola, ma a lui vicino per l’idea di costruire “forme locali di comunità all’interno delle quali la civiltà, la vita intellettuale e morale possano essere puntellate durante le nuove epoche buie”. Quanti nella destra religiosa americana ragionano sull’Opzione Benedetto, non pensano a un’autosegregazione in stile Amish, ben inteso, ma lasciano intendere che d’ora in poi dovrà passare in secondo piano l’impegno per le culture wars, finora invece vinte o perse, ma pur sempre combattute. D’altronde lo stesso Partito repubblicano pare appassionarsi di più alle dispute di politica economica. Così in cima alle priorità, per i novelli benedettini, passa la preservazione di una certa forma di convivenza basata su princìpi religiosi, ma ristretta a comunità più piccole. Con il conseguente venir meno – ragiona già qualcuno – della distanza siderale tra laïcité alla francese e secolarismo americano, finora sempre rivendicata oltreoceano. L’Opzione Benedetto non è affare che riguardi solo il mondo confessionale.