Troppa gnocca nei reality show. Pechino ora impone le sue “linee guida”
Roma. Se siete tra quelli che pensano che il dibattito pubblico sui reality show appartiene al decennio scorso, siamo costretti a farvi ricredere. A Pechino, per esempio, l’organo di amministrazione (ma si legge: controllo) di stampa, radio, film e tv, conosciuto con il comodo acronimo di Sapprft, sta per introdurre nuove regole per i reality show che vanno in onda in Cina. E non si tratta di un tentativo di sorvegliare lo spauracchio del web, qui si fanno le regole della tv pubblica. Da anni si chiede di evitare le volgarità e la decadenza in tv, in linea con le nuove direttive per la morale sbandierate dal presidente Xi Jinping. La Sapprft applica regole di opportunità alle serie tv, ai film e agli show trasmessi, specie quelli che vengono importati dall’estero, ma è la prima volta che si elaborano delle linee guida sui reality show. Secondo le indiscrezioni pubblicate sul social network Weibo, e riportate da Hollywood Reporter, queste dovrebbero essere le nuove norme da applicare ai reality nel giro dei prossimi tre mesi.
Prima regola: ogni canale potrà mandare in onda al massimo uno show all’anno. Seconda regola: i contenuti devono essere aderenti alla realtà. Insomma niente ex calciatori miliardari su un’isola deserta con dieci vergini a disposizione – la trama di “The Bachelorette”, alla sua undicesima stagione in America. Pensare che su internet si è scatenato il putiferio quando la Abc sembrava voler censurare la parola “clitoride” dallo show, e ha fatto parlare quando Ryan, il figo da conquistare, si è lasciato andare a commenti un po’ alticci che riguardavano uno stupro con una sua spasimante. Ma il reality sul ricco rampollo scapolo è penetrato talmente tanto nella cultura televisiva americana che hanno fatto una serie tv sulla sua produzione (si chiama “UnReal”). E Xi Jinping sarebbe saltato sulla sedia pure a vedere “Acapulco Shore”, la versione messicana del “Jersey Shore”, programma che segue le vicende – se così si possono definire – di otto fancazzisti con gli ormoni impazziti che passano da una festa all’altra.
In effetti in Cina i reality che vanno in onda sono di tutt’altra pasta. Il più famoso si chiama “Where Are We Going, Dad?”, format importato dalla Corea del sud, la prima stagione è andata in onda nel 2013 su Hunan Tv e racconta le gesta di cinque padri famosi che cercano di sopravvivere in zone della Cina rurale accompagnati dai loro figli, fra i tre e i sei anni. Il Global Times cinese qualche tempo fa aveva criticato un altro reality della Hunan, “Wonderful Friends” – plot: celebrità chiuse in uno zoo che sembra un circo, con scimmie nei passeggini ed elefanti che fanno la pedicure – corredando l’editoriale con una foto la cui didascalia recitava: “L’attrice Ni Ni cerca di baciare un leone”. Sin dal 2012 il governo di Pechino tenta di vietare i dating show, quelli dove il tema sesso è un tantino più esplicitato. Per esempio “Wo Men Xiang Ai Ba”, versione cinese di “We got married”, un reality sudcoreano su tre coppie di personaggi famosi che provano come sarebbe la loro vita se fossero sposati. Le telecamere cinesi non li seguono in camera da letto, e i capelli dei finti mariti sono tutti impomatati, i pettorali pompati, ma i gesti d’affetto molto decorosi. Va in onda su Jiangsu Tv.
Pechino non si dà pace per questo fatto che i cinesi su internet e in tv hanno passioni indecenti. Un anno fa era stata la volta di “The Big Bang Theory”, “Ncis” e “The Good Wife”, visti dal governo cinese come scandalosi e offensivi. La Sapprft aveva richiesto la rimozione delle tre serie americane dai siti internet più popolari in Cina (a oggi non c’è un cinese che non guardi le nuove puntate, nonostante la “censura”). “The Big Bang Theory”, in onda su Sohu TV dal 2009, era diventato lo specchio dei diaosi, termine cinese per indicare i nerd. Come notava all’epoca Bill Bishop, nello stesso periodo la tv di stato cinese iniziava a mandare in onda “Game of Thrones”, serie della Hbo ben più violenta e scandalosa dei quattro scienziati nerd. Quella censura voleva essere la prima lezione di Pechino contro lo streaming selvaggio: battaglia persa in partenza.