Come funziona il cervello. L'indagine di un neurochirurgo svela segreti e storie per capire cosa abbiamo in testa
Mercoledì scorso a Roma si è svolto un convengo interessante sui meccanismi della memoria (“Quali sono, perché si deteriorano, come possiamo preservarli”) in cui un professore importante ha provato a dare una risposta convincente a una domanda cruciale: come funziona oggi il cervello? Il professore è il neurochirurgo Giulio Maira, presidente della Fondazione Atena onlus (che dal 2001 finanzia borse di studio e progetti finalizzati alla ricerca nel campo delle Neuroscienze), e durante il convegno, patrocinato dal Ministero della Salute, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Regione Lazio, Roma Capitale e con il contributo di Sorgente Group, sponsor dell'evento, ha ricordato quali sono i fattori che possono accelerare l’invecchiamento cerebrale (“al di là di eventi scatenanti specifici, a partire dai 30 anni il cervello comincia a perdere giornalmente un certo numero di neuroni ed è normale che la memoria perda qualche colpo: una svogliatezza verso le cose che prima erano del tutto normali, la tendenza a chiudersi in se stessi, la perdita delle memoria a breve termine, sono sintomi che qualcosa non funziona. E allora non si trovano più le chiavi, si perde il cellulare, non si ricorda il nome di qualche conoscente o il suo numero di telefono. In genere, le memorie relative ai nomi e ai cognomi delle persone "zoppicano" a partire dai 50-60 anni: è un fatto normale che, se non esistono altri problemi, non deve preoccupare!”) e ha aggiunto poi conversando con il Foglio quali sono i punti sui quali deve fare perno una buona politica volta a prendersi cura delle nostre teste, diciamo così. Il professor Maira assicura che il livello della ricerca in Italia è buono, molto buono, ma che i mezzi non sono all’altezza delle possibilità.
Vecchia storia, ma che non si guardi soltanto dalle parti dell’intervento pubblico è un’impostazione che solleva. “Ci vorrebbe intervento anche dei privati, nel campo della ricerca medica e bio-medica. E invece si stenta a sollecitarlo, spesso non c’è la convinzione necessaria”. Perché questa attenzione per temi che non sono esattamente una passeggiata? “E’ cresciuta la consapevolezza. Invecchiamo di più, e vogliamo invecchiare bene o almeno meglio di quanto non invecchiassimo decenni fa. E poi c’è l’Alzheimer, una malattia assai frequente, in crescita, legata all’invecchiamento. La paura può spingere nel senso giusto, tendiamo a prendere le contromisure. E non dimentichiamo la divulgazione. Certi temi finiscono sempre di più sulle pagine di giornali e riviste, dato che il target degli interessati cresce. La buona divulgazione è importante”. Per esempio? “Pensi ai giovani. Gli effetti dell’alcool, delle droghe, specialmente di quelle sintetiche, sul cervello possono essere devastanti a quell’età. L’assunzione di alcool comincia troppo presto, come il ricorso alle droghe”. Gli obietto se non si esageri, a volte, con gli allarmi della buona divulgazione. Qui finisce che ci va di mezzo pure il bicchiere di vino, il buon bicchiere di vino a pranzo e a cena, dico. “Certo, non si tratta di mettere sotto accusa il bicchiere di vino, una birra, un aperitivo in compagnia. Si socializza anche così, e socializzare è importante. Si tratta, piuttosto, di arginare la cultura dello sballo, il bere oltremisura, mischiando alcool e droghe per stordirsi, per uscire dagli argini. Le droghe sintetiche sono sostanze chimiche che si sostituiscono ai mediatori chimici del cervello, compromettendoli e compromettendo il funzionamento del cervello. Proprio le aree della memoria e dell’emotività risultano le più danneggiate, il risultato è dunque doppiamente disastroso”. Sappiamo molte più cose del cervello, del suo funzionamento, di quel che si può fare per tenerlo in esercizio, di quel che gli fa bene e di quel che gli fa male, ma qual è l’ambito della ricerca dal quale ci aspettiamo risultati più incisivi, più risolutivi. “Indubbiamente quello dei tumori cerebrali”. Segniamo il passo? “Ci lavoriamo in tanti, nel mondo intero, progressi ce ne sono ma manca ancora la scoperta decisiva, la scintilla, quella che accende un vero fuoco. Si tratta di giungere a una terapia efficace dei tumori cerebrali, non è facile. Anche noi di Atena siamo impegnati, con la rete internazionale sui tumori cerebrali. L’anno scorso a Roma abbiamo fatto un convegno proprio su questo tema. Ancora non c’è una scoperta decisiva, è vero, ma proprio per questo gli sforzi debbono moltiplicarsi”. Si dice che il cervello sia sfruttato per non più del 10 per cento delle sue potenzialità, ce n’é da fare di cose. “Il 10 per cento è una percentuale troppo bassa, stimerei piuttosto il 30-40 per cento. Ma è più importante un altro concetto, vale a dire che noi occupiamo progressivamente nel corso della vita il nostro cervello, creiamo reti neurali che prima non c’erano, ne facciamo funzionare altre, è quest’opera di colonizzazione del cervello, in certo senso, ch’è importante, più della percentuale stimata della nostra capacità di utilizzarlo. Io e lei facciamo questa chiacchierata, e alla fine il nostro cervello non è più lo stesso, di poco, di pochissimo ma è cambiato, è cresciuto, è diverso”. E del fatto che il cervello sarebbe ridondante, che mi dice? Damasio, nel fortunato “Errore di Cartesio” racconta di Phineas P. Gage il cui cranio fu letteralmente trapassato, nell’estate del 1848, per un incidente sul lavoro (faceva saltare la roccia per fare posto alla ferrovia che doveva attraversare il Vermont), da una barra di ferro del peso di 6 chilogrammi, lunga 110 che scavò nel cervello una galleria di quattro centimetri di diametro.
[**Video_box_2**] Non morì né rimase invalido. Cambiò personalità, perse i freni inibitori, diventò scurrile e sguaiato, specialmente con le signore “Curioso, no? L’incidente danneggiò e compromise i lobi frontali, l’area che ha a che fare proprio con la memoria, col comportamento, con la capacità di prevedere e pianificare. Quell’incidente, certo, ci dice, che il cervello è ridondante, nel senso che può funzionare anche con meno, con molto meno, ed è per questo, del resto, che possiamo farlo funzionare di più, espanderne le capacità. Perché la ridondanza si lega all’elasticità. Il cervello si forma di continuo, si struttura di continuo. E queste caratteristiche sono particolarmente marcate nell’infanzia. Ed ecco perché l’infanzia è un’età decisiva proprio per il cervello, quello presente e quello futuro, quello del bambino e quello dell’adulto che sarà”. Cosa possiamo aspettarci domani? La domanda, l’ultima, è pronta sulla lingua, rigettata indietro dal professor Maira che deve scappare per impegni di lavoro. Non prima di avermi assicurato che ci sarà un’altra occasione, per ripigliare il discorso. Perché no. Anche la vita, come il cervello, è flessibile.