Il pezzo perfetto contro la Troika lo ha già scritto Concita un anno fa
Gli editorialisti indignati sono avvertiti. Il pezzo anti Troika perfetto per queste ore drammatiche lo ha già scritto Concita De Gregorio su Repubblica, il 9 luglio del 2014. Chi lo ha letto non può averlo dimenticato. Era un racconto straziante, costellato di immagini indelebili. La cronaca del lento, inesorabile inabissamento di un paese travolto da una Germania spietata. Venerdì il Brasile, oggi la Grecia. Lo stadio Mineirão di Belo Horizonte, piazza Syntagma ad Atene. La stessa indifferenza. La stessa freddezza. L’anno scorso pensavamo tutti si fermassero sul tre a zero. Macché. Sette a uno, tutti a casa. Con quel goal di Oscar triste, solitario y final che fa l’effetto del crowdfunding scattato qualche giorno fa per la Grecia (con tre euro prendi una cartolina firmata da Tsipras, con sei, feta e olive). La Germania andò fino in fondo. Si sprecarono metafore. Una macchina “iper-organizzata e calcolatrice”, “sospinta dalla forza cieca dell’efficienza”. Disumana e razionale come le banche. Assetata di gol e di crediti.
Ma il pezzo che ha fatto scuola, l’articolo capace di infilare stereotipie teutoniche, paesaggi alla Salgado e anticapitalismo studentesco, fu quello di Repubblica. Basta rileggerlo aggiornandolo con un po’ di passaggi dall’editoriale del manifesto di un paio di giorni fa. Quello sul “silenzio assordante degli intellettuali di fronte al referendum”. Quello sul “cosa direbbe Zola, cosa direbbe Sartre” (se dopo cinquant’anni ti chiedi cosa direbbe Sartre anziché Aron un po’ di silenzio te lo sei cercato). Basta montarli assieme, insomma. Uno dentro l’altro, come un unico stream of consciousness antitedesco. Si incastrano alla perfezione e ci prepariamo al meglio per le prossime ore, dato che c’è lo stop ai negoziati fino a domenica: “Così no. Così è una violenza feroce e crudele che infierisce su un paese steso a terra in lacrime. I soldi (pochi) sono più che altro un pretesto. La sostanza è il modello sociale che deve prevalere. Come legnate su un corpo inerme, come se non avessero visto, non avessero capito che era già tutto finito. Sapevano di poter perdere, sapevano dall'inizio che sarebbe arrivato il momento, certo, sottotraccia lo hanno sempre saputo. L’assenza di Neymar negli ultimi tre giorni, era stato l’alibi. Perché i tedeschi giocano da soli, squadra di tecnocrati e speculatori. Giocano e segnano, segnano ancora, come sotto l’effetto di una droga. La libertà è affascinante ma il più delle volte pericolosa. Dove sono finiti i grandi intellettuali? Quelli che lo spirito del tempo designa a portavoce di un’epoca quando il cammino si ingarbuglia? Non se ne vede l’ombra. Tutto su questo fronte tace. Tace Zico davanti a un maxischermo. Tace Romario nella sua casa piena di figli. Ammutolisce Dilma.
[**Video_box_2**]Ci si domanda che farebbe oggi un novello Zola, cosa direbbe Sartre? Non pensano alla vecchiaia di Filipao, i tedeschi. Cani da guardia dell’Europa oligarchica, della finanza internazionale e del Nuovo ordine coloniale. I bimbi piangono. Le luci nelle case si spengono, la gente se ne va, i telefoni non funzionano più. Ecco che succede quando i nodi vengono al pettine e la dignità di tutto un popolo è messa davvero in discussione. Una disfatta come questa è una Caporetto del paese intero, della sua scommessa, della politica che sfida le economie egemoni nel mondo e come dice Gilberto Gil che è stato ministro con Lula ‘Dilma ci prova ma non basta’. La partita è quindi squisitamente politica. E’ un tramonto triste, senza onore. Troppo, così è troppo, così no. Nati a Palermo o a Siviglia, a Milano o a Lisbona, siamo tutti quanti greci anche noi”.