Ma quanti anni hai?
E poi ci sono le quarantenni: tutti le hanno convinte che si è aperto per loro il decennio (facciamo ventennio, per favore) migliore della vita, perché a vent’anni si è incoscienti, a trenta nevrotiche, a quaranta, finalmente, ci si sente sicure. Non necessariamente adulte, ma per niente desiderose di tornare bambine: le quarantenni si trovano adesso in una zona splendente di adolescenza consapevole e perenne, dentro la possibilità (anche economica) di continuare l’infanzia con altri giocattoli: Twitter, Uber, i selfie, i tatuaggi, i piercing, il pilates, l’iPhone, gli emoticon (l’emoticon preferito dalle quarantenni moderne, scrive il Times, è la ragazza in abito rosso e tacchi alti che balla, da usare per concludere i messaggi brillanti che la quarantenne digita velocissima, in motorino, in taxi, in cima alle montagne, in fondo al mare, sul tapis roulant, ovunque).
Hanno anche, quasi tutte, quel colore di capelli, il brondie, un po’ di castano e un po’ di biondo, a connotarle come ragazze grandi che aspettano l’estate come vent’anni fa, per scappare in vacanza almeno tre giorni con le amiche e tornare con l’idea che il sole ha schiarito i capelli e che non c’è alcun bisogno di tingerli. Mamme o non mamme, anzi yummy mummy o hipster, le quarantenni usano Instagram per le foto di tramonti e di concerti e di bikini, e se incontrano un gruppo di ragazze appena uscite dalla maturità fanno amicizia e offrono aperitivi, per scoprire che parlano tutte allo stesso modo e hanno addosso le stesse magliette, solo un po’ meno ombelichi scoperti. Secondo il Times anche questa teenageritudine eterna è un cliché, fatto di regole espressive (bisogna dire molto spesso “tipo”), estetiche e tecnologiche (non è ammesso analfabetismo digitale, cioè non si può essere quarantenni del nostro tempo se non si è capaci di caricare un video, se non si aspetta con ansia Netflix, se non si fanno acquisti e prenotazioni online con la nonchalance con cui si respira e se non si tuìtta con continuità e determinazione).
[**Video_box_2**]E’ il luogo comune ma dolce del “kidult” (secondo una definizione del New York Times di dodici anni fa, quindi obsoleta), un po’ bambine e un po’ adulte, tutte con i capelli legati allo stesso modo, e il desiderio di appartenere a categorie giovanilissime di donne a cui “Buonasera signora” arriva addosso come una coltellata, come un tradimento. Perché mi chiami signora? Non li vedi i miei capelli, i miei vestiti, la mia auto del car sharing, non capisci che i quaranta sono i nuovi diciassette? Pago le bollette, litigo con la baby sitter, ma non significa che puoi permetterti di pensare che sono diventata grande.