Terminator sul tappeto elastico
Si invoca un Terminator che tolga di mezzo tutti i personaggi sulla scena, intrappolati in situazioni collocate dal 1984 – anno del primo film girato da James Cameron – fino al 2017: più che una trama, un tappeto elastico che serve a rimbalzare avanti e indietro nel tempo. Si invoca un Terminator che li metta a fuoco con il suo visore, li insegua, li acchiappi in cima al grattacielo e li sospenda nel vuoto a scopo intimidatorio, li crivelli con la mitragliatrice e alla fine non dimentichi di appiccare il fuoco. Soprattutto, si invoca un Terminator che li faccia stare zitti quando cominciano a tracciare la genealogia familiare: “Lo vedi quel ragazzino? Sarà mio padre”. “E quel signore che sembra molto più adulto di noi? Ma come, non hai capito che è nostro figlio?”.
Uscito due anni dopo “Blade Runner” (la fantascienza non si era ancora rassegnata al “déjà vu” e all’eterno ritorno dell’uguale, i rapporti tra uomini e macchine ancora intrigavano) “Terminator” era strepitosamente semplice. Per quanto possa esserlo una trama che sfrutta i viaggi nel tempo e i relativi paradossi. Come sa chi ha visto “Ritorno al futuro”, farsi un viaggetto nel passato modifica il presente: quindi attenti a non toccare niente (comunque non basta, basta la sola presenza fuori dal tempo assegnato per fare pasticci).
Un rete di macchine intelligenti – create dall’uomo, ma presto si emancipano e diventano aggressive al servizio dei propri interessi - cerca di sterminare l’umanità con un olocausto nucleare. Si mette di mezzo l’eroico John Connor, capo della resistenza contro il cervellone chiamato Skynet. Per evitare la sconfitta, le macchine giocano d’astuzia: mandano nel passato un Terminator - implacabile cyborg dalle sembianze umane - con il compito di uccidere Sarah Connor, impedendole di generare il futuro capo della resistenza. Contromossa: la resistenza invia nel 1984 un suo soldato, con il compito di proteggere la ragazza.
[**Video_box_2**]Il Terminator era Arnold Schwarzenegger, ex Mister Universo. Non si poteva scegliere meglio: nella parte di un robottone, per quanto allora di ultimissimo modello, l’attore austriaco era perfetto. Fin dalla prima scena, quando arriva nudo a Los Angeles, zona osservatorio astronomico. Cerca di che vestirsi assalendo una banda di punk che hanno cominciato a sfotterlo. Alan Taylor - regista di “Terminator Genysis” dopo aver diretto episodi di “Lost”, dei “Soprano”, di “Sex and the City” e di “Six Feet Under” – rifà la scena tale e quale. Ma, sorpresa, il nuovo arrivato scopre che in città esiste già un altro Terminator.
Le linee temporali sono ben incasinate fin dall’inizio, e non avete idea di quel che succede poi. Con disprezzo della filologia, nel 1984 opera già il Terminator-Proteo, che era la novità del secondo film: un modello più avanzato in metallo liquido, capace di assumere ogni forma, umana o metallica. Allora fece molta impressione, per la bellezza degli effetti speciali. Oggi sembra un trucco confezionato in garage. Di peggio, c’è il voltafaccia di Terminator, protettivo e sorridente.