La verità del “Buio oltre la siepe” è in un libro senza eroi nascosto per sessant'anni. E ora Harper Lee la svela
C’è qualcosa di misteriosamente magico non appena si comincia a leggere “Va, metti una sentinella”, romanzo-scoop di Harper Lee apparso dal nulla a dare una continuazione, un sequel, un prequel, un pendant – comunque vogliate chiamarlo – al “Buio oltre la siepe”, il libro fondativo della scrittrice dell’Alabama pubblicato nel ’57 e da allora rimasto, dopo 40 milioni di copie vendute nel mondo, senza uno sviluppo letterario – se non che la sua autrice è stata collocata nel pantheon americano delle idee. La storia è nota e un po’ opaca. Harper Lee, vecchia e malandata, trascorre gli ultimi anni a godersi il benessere che la sua creatura letteraria le ha assicurato, al riparo da sguardi indiscreti, nella cittadina dove tutto è cominciato e ora finisce, Monroeville, Alabama, quella che nelle sue pagine prende il nome di Maycomb. Tonja Carter, l’avvocatessa che da tempo la assiste e funge da tuttofare, un giorno se n’esce con una storia incredibile. In una cassetta di sicurezza dell’amica si è imbattuta nel manoscritto di quello che sembra il romanzo inedito della Lee, che racconta più o meno le vicende de “Il buio”, ma in forma diversa.
Presto arrivano conferme: “Sentinella” costituisce effettivamente la prima produzione letteraria della giovane Lee, concepita dopo il trasloco dal Sud a New York ed è il libro in base al quale gli editor le consigliarono di dedicarsi a una nuova stesura, sviluppando solo la parte del romanzo che riguarda il processo nel quale Atticus Finch difende il nero ingiustamente accusato e le peripezie della piccola Scout e di suo fratello Jem, alle prese col misterioso inquilino della casa accanto. Il libro dunque è sempre esistito, il segreto è stato ben protetto, ma ora Harper Lee, che aveva sempre giurato d’essere disinteressata a pubblicare un nuovo volume, si dice felice di approvarne la circolazione, sessant’anni dopo averlo scritto. Ovviamente è una bomba mediatica: ci sono turbolenze attorno alla qualità etica dell’operazione, alla reale capacità di intendere e di volere della scrittrice, alle sue effettive e consapevoli intenzioni, al ruolo della corte che la circonda. Ma gli affari sono affari e il lancio della “Sentinella” diventa inarrestabile e oggi arriva a compimento, con lo sbarco nelle librerie americane di due milioni di copie (in Italia uscirà a novembre da Feltrinelli).
E soprattutto, mettendo da parte i complotti, si è finalmente arrivati a fare i conti col romanzo, che da subito rivela la propria dignità e una forza che, tra tante polemiche, è stata sottovalutata. E l’incanto di una voce narrativa che, non appena ricomincia a parlare, strega il lettore, conducendolo con sé nel mondo remoto di un’America scomparsa. Scomparsa – ma fino a un certo punto. Perché “Sentinella”, oltre a confermare d’essere il canovaccio narrativo da cui sarebbe decollato il capolavoro di equilibrio che è “Il buio”, rivela d’essere anche altro. E perché adesso capiamo che quando gli editor del futuro successo chiesero a Harper Lee di concentrarsi sulla narrazione in prima persona di Scout e sulla figura leggendaria di Atticus, il paladino della riconciliazione razziale, imboccarono una strada di opportunismo commerciale che rispondeva ai turbamenti dell’epoca.
[**Video_box_2**]Ciò che Harper aveva escogitato e messo al centro del romanzo originale era altro: la storia di Jean Louise – Scout ormai fattasi donna adulta – che una volta l’anno da New York torna in Alabama, dove l’attendono un padre anziano e malandato e Henry Clinton, il suo giovane assistente, scelto come erede dello studio legale di famiglia da quando suo fratello Jem è morto, e che spasima per lei. Il ritorno per Jean Louise significa rivedere ciò da cui è fuggita: un piccolo mondo antico americano che non vuole separarsi dai suoi peggiori errori. Nella “Sentinella” neanche Atticus Finch è immune dall’errore capitale e per lui l’uguaglianza razziale è un tema fuori discussione: “I negri di qui, come popolo, sono alle prime armi”, esclama. Talmente queste convinzioni sono connaturate in lui e in Clinton, che per loro frequentare una riunione del Ku Klux Klan non è un crimine, né lo è dire: “Vorresti i negri nelle nostre chiese, nei nostri teatri, nelle nostre scuole? Nel nostro mondo?”, nel tipico ruminare dei paladini della segregazione come meccanismo sociale. Con questo rovesciamento di ruoli e questo colpo di scena, “Sentinella” si propone come romanzo politico prima che sociale, scritto per denunciare, sotto le insegne delle grandi cause civili. Ma in quegli anni, chi pubblicò Harper Lee preferì sostenerne il tocco sociologico nel descrivere la titanica figura eroica di Atticus e la capacità narrativa attraverso l’irresistibile voce di Scout, che risuonava nelle orecchie degli americani come il più familiare dei suoni. “Sentinella” invece parla, in terza persona, di una protagonista mossa tanto dagli affetti quanto dalla disillusione e la cui scelta di esilio si motiva nel pessimismo e nella convinzione di un cambiamento impossibile. Il primo effetto, leggendo “Sentinella”, è di un libro paradossalmente più attuale del “Buio”, più realisticamente coinvolto nella storia della nazione, più capace di resistere agli urti del tempo, mantenendo una voce critica efficace anche in questo turbolento presente americano. E inoltre, sia pure tra incertezze e qualche banalità, poi assorbite nella essenzialità del “Buio”, “Sentinella” risveglia la melodiosa voce letteraria di Harper Lee, col suo morbido twang, raccontando una storia diversa dall’unica che le avevamo sentito dire. I personaggi li conosciamo, lo sfondo ci è familiare, ma qui scopriamo risvolti nuovi, notizie, sviluppi. Molti dei quali spiacevoli, inaspettati, perfino dolorosi. Ma non è questa la regola della verità, nel fare una descrizione, ovvero che gli uomini vivono passioni e combattono grandi battaglie, ma pure spesso, se non fuggono, capita che, loro malgrado, cadano in terribili errori?