Plutone o dell'orgoglio nano
Troppo lontano, troppo ghiacciato, troppo piccolo. Tesoro, ci si è ristretto il sistema solare. E poi, come si fa a chiamare pianeta un “disgustoso pezzetto di merda” come Plutone, secondo l’elegante definizione che ne dà Martin Amis ne “L’informazione”? Non si può, hanno detto gli esperti della International Astronomic Union, il consiglio degli esperti dell’universo, un club che ci piace immaginare come le riunioni interplanetarie di “Star Wars”, e invece è una specie di assemblea generale dell’Unesco ma senza neanche soldi da sperperare in progetti inutili. I pianeti, si saranno detti quei soloni, devono pur avere qualcosa di affascinante, altrimenti chi lo guarda più, il cielo? Ecco che allora, ammantato di un piglio da rivoluzione copernicana, un gruppo di astronomi ha deciso di declassare il povero Plutone. Di dargli di nano. A Plutone. E ora Plutone non è più un pianeta di serie A ma, come una Juventus astronomica, il capo di quelli di serie B. Meglio conosciuti come pianeti nani, o semplicemente nani. E già questo è un modo di parlare che ai politicamente corretti di tutto il mondo fa girare le orbite. Ma lo vedremo.
Quella che vi vogliamo raccontare è la storia di una grande ingiustizia planetaria. Ma forse è anche la storia di uno spontaneo senso di giustizia che si risveglia davanti al sopruso. O forse è soltanto la storia di una follia collettiva e ferragostana, l’esplosione di una nuova mitologia di massa in un tempo in cui le opinioni delle masse si condensano e si dissolvono alla velocità della luce, o a quella di Internet. Ma andiamo con ordine, poi deciderete voi.
Riuniti a Praga in assemblea generale, il 24 agosto scorso gli astronomi della Iau hanno deciso di togliere Plutone dall’elenco dei pianeti del Sistema solare, riducendo il loro numero da nove a otto. Come sempre in questi casi, dove si parla per codici e sottocodici specialstici ma poi alla fine si vota per alzata di mano decidendo il destino altrui, le cose sembravano precisine precisine: il 16 agosto, un gruppo di scienziati – che giocoforza presumiamo democratici e multiculturalisti, al limite del noglobal stellare – avevano avanzato la proposta di modificare la nozione di pianeta, in modo da aggiungere agli attuali altri tre bei corpicini celesti: Caronte, Cerere e UB313, che ha un nome da robot delle pulizie ma non lo è. Apriti cielo. Gli astroconservatori fautori di un sistema solare duro e puro, fatto di pianeti muscolari e grossi tanto, hanno preso la palla al balzo e hanno detto: qui si rifanno le regole, pianeti sono solo quelli “classici” che diciamo noi. Gli altri si chiamino “pianeti nani”, e il resto della minutaglia orbitante sia solo “corpi celesti”, in attesa magari che qualche buontempone con il telescopio li additi all’opinione pubblica come “asteroidi canaglia”, o “pianeti falliti”. E a Plutone, al massimo il contentino di essere il capo dei “corpi transnettuniani”.
La verità, però, è che si è trattato di un quasi colpo di stato, perché alla megariunione di Praga di fine agosto, dei novemila esperti attesi per strologare e deliberare sul caso di Plutone se ne sono presentati soltanto quattrocento. E, a quanto pare, quasi esclusivamente i cultori del machismo e della prosopopea di pianeti come Giove. Così, in colpevole assenza di regole sul quorum e maggioranze qualificate (“le verità scientifiche non si decidono a maggioranza”, l’ha detto pure Giulio Giorello), hanno detto ciao ciao al piccolo Plutone. L’hanno cacciato, lasciando spazio al Club degli Otto grandi, ben più presentabili di quel nano che, secondo la decisione finale, “è relativamente piccolo, con una piccola massa e con una luminosità sotto alla media”. Stai nel tuo buio, Plutone.
Delusione, soprattutto nel mondo astronomico degli Stati Uniti: “Così facendo hanno svalutato la scoperta di Plutone compiuta nel 1930 dall’americano Clyde Tombaugh”, hanno dichiarato. Risultato amaro: la scienza astronomica americana resta senza scopritori di pianeti, al contrario di quella tedesca e di quella francese a cui si devono le scoperte di Urano e Nettuno. In più, chi glielo dice adesso alla sonda New Horizons, lanciata dal Kennedy Space Center di Cape Canaveral il 19 gennaio 2006 con destinazione proprio Plutone? Un viaggetto da cinque miliardi di chilometri in nove anni fino a Plutone, solo per scattare qualche Polaroid a un nano, e poi andarsi a perdere nel buio cosmico della fascia Kuiper? Un incubo da “Alien”, una tristezza da vecchia canzone dei Dik Dik, “Help me, help me, help meee…”.
“Non bisognerebbe mai prendere in giro gli afflitti”, scrive ancora Martin Amis nella sua filippica antiplutonica, ma insomma quel pianetino microscopico e lontano in fondo è “una crosta di ghiaccio spessa 500 chilometri, e poi roccia”, niente a che vedere con la vita o con i barlumi di vita che potrebbero celarsi negli altri pianeti. In più, Plutone si accompagna con la sua luna, quel Caronte, “altro cesso” che “traghetta i morti nell’inferno di Plutone”: una coppia di infimi pianeti “da due soldi”. Inoltre, dal piccolo Plutone – la sua massa è circa un quinto della nostra luna – il sole si vede sempre: a volte pare una croce, a volte una palla, ma comunque non scalda mai e non dà la vita. E’ sulla base di questi dati da due soldi, che la presenza di Plutone nell’Unione planetaria del Sistema solare pare sbagliata.
Ma, come dicono i sostenitori del “nano” che sono scesi in piazza in mezzo mondo, le dimensioni non contano. Sì, scesi in piazza. Con sit-in e cartelli-sfottò degni di un documentario di Michael Moore, tipo “I love Pluto (con cane disneyano, ndr)”, o “Pluto is better than you think” e che hanno subissato di fax ed email la sede la sede dell’Iau a Boston. E che soprattutto hanno invaso la Rete con vignette e fotomontaggi giocati sul concetto-base “Size doesn’t matter”. Le dimensioni non contano. O almeno non contano sempre. E soprattutto non contano se c’è stata una frode e non si è cercato un po’ di consenso sulla questione. Non contano, soprattutto, se a giugno quegli stessi esperti avevano illuso i fautori dell’allargamento e dell’embrassons-nous galattico dicendo che potevano stare tranquilli, ché il loro amato non sarebbe stato cacciato per le sue dimensioni mignon né per la sua anima gelida.
Se gli astronomi americani ci sono rimasti male per motivi per così dire “geo-accademici”, tutti coloro che non ne capiscono niente di pianeti, ma sentono odore di discriminazione, ci sono rimasti male e basta; anzi, si sono incazzati di brutto, per un innato senso della giustizia violata. Sentono il morso dell’ingiustizia i bambini che s’immedesimano in Plutone perché – se parlano inglese – si chiama Pluto come il cane di Topolino, anche se magari ignorano che il nome Pluto gli fu dato proprio nel 1931, in onore del nuovo pianeta scoperto. Poi ci sono quelli che si sentono sempre minacciati dal machismo, ovunque graviti, e vivono un po’ ai margini di tutto, in galassie lontane. E si sono indignati gli astrologi, perché “la presenza di un pianeta in un certo punto dello spazio è segno che là c’è un’intensa vita e attività spirituale”, e soprattutto alcuni nati nello Scorpione, perché Plutone è il corpo celeste che governa il loro segno.
Insomma, qualche riflessione si impone. Perché in questa storia estiva sospesa tra lo scherzo, la goliardia, il gioco mediatico e l’indignazione autentica alla fine c’è anche qualcosa di più significativo che sfugge, come sempre in queste “proteste mondiali”, in questi eventi che coinvolgono migliaia di persone attorno a obiettivi “transpersonali” (secondo gli astrologi anche qui c’entrano gli allineamenti astrali, come nelle “magiche” proteste degli anni Sessanta).
[**Video_box_2**]Ci deve essere un senso d’immedesimazione totale, altrimenti non si spiegherebbero il moltiplicarsi di siti che propongono petizioni – alcune sono sottoscritte da astronomi, mica plutoniani improvvisati – e neppure il successo delle magliette con scritto “Plutone è un pianeta”. E neppure la canzoncina diventata inno alla stregua di un popoppoopooo calcistico, inventata da una band chiamata Jimmy and the Keyz, che denuncia: “They demoted Pluto”, hanno declassato Plutone. E neppure le tante vignette sui giornali, come quella pubblicata dal Guardian nella quale Plutone dice: “Avete voluto mandarmi via? Benissimo, io ci metto 248 anni a fare il mio giro, sarò pure nano, ma quando ripasserò di qui nessuno di voi ci sarà più”.
Vogliamo chiamarlo un caso di occidentalismo, di odio di sé applicato agli astri? Un esempio di dannatissimo relativismo culturale esteso al sistema solare? C’è gente che davvero si è chiesta che cosa gli abitanti di Giove dovrebbero pensare di noi piccoli terrestri. Oppure la molla mentale del movimento plutoniano è la stessa del movimento per la liberazione dei nani da giardino, altro strepitoso esempio di critica sociale dadaista applicata all’universo del “piccolo è bello”? Volessimo giocare agli strizzacervelli della psicologia di massa, ci sarebbe da indagare nella frustrazione che porta a difendere i diritti dei nani e dei pianeti, non essendo in più in grado – e da un pezzo – di dire la propria sulla guerra, la Cina, la pena di morte e pure il G8 allargato.
Come i noglobal nel mondo reale, i difensori di Plutone sono non a caso tacciati di bieco conservatorismo. Dicono gli astrocon: la scienza procede, si scoprono pezzi d’universo – per la cronaca, tutto questo caos è nato per via di Xana, un pianeta cui non a caso hanno appioppato un nome di femmina, che è un poco più grande del povero Plutone ma non era classificabile come pianeta – e perciò si deve rivedere tutto quel che si è deciso prima. Ma soprattutto: da quand’è che la scienza deve essere democratica o politically correct? Il sistema solare va ristretto, punto e basta.
I “plutoniani realisti” dicono di non preoccuparsi più di tanto, in fondo è meglio essere il capo dei piccoli transnettuniani piuttosto che l’ultimo dei grandi. Ma, a parte che bisognerebbe chiederlo a chi si sente dare di nano se questo è poi così vero, già si capisce che quella Xena lì, prima o poi e con l’aiuto degli esperti compiacenti, reclamerà per sé la poltrona di capo: del resto, se sono le dimensioni a contare, di diritti ne ha pure qualcuno. Ma la battaglia per la giustizia giusta non si fermerà. Perché, come titolava quel vecchio ma indimenticato film: “Anche i nani hanno cominciato da piccoli”.
Perché Leonardo passa a Brera