Se sei uomo e bianco, è meglio che tu smetta di fare il supereroe
“Molti ragazzini di colore non possono giocare a essere Superman o Batman, perché sono bianchi. Adesso con Miles Morales abbiamo uno Spider Man per ragazzini e adulti di colore.” Con queste parole, in un’intervista al New York Times, lo sceneggiatore Brian Michael Bendis ha annunciato che lo Spider Man ufficiale della Marvel sarà un ragazzino nero e latino, non il quasi trentenne Peter Parker. Miles Morales era già l’Uomo Ragno dell’Universo alternativo Ultimate, adesso è approdato in quello “ufficiale”, e diventerà il vero Spider Man, con Peter Parker come suo mentore.
Bendis è un ottimo sceneggiatore e bisognerà vedere le storie, ma le sue parole, in altri contesti, sarebbero suonate un po’ razziste: i ragazzini afroamericani hanno letto con passione per decenni le storie di supereroi bianchi. Lo stesso Stan Lee, co-creatore con i disegnatori Jack Kirby e Steve Ditko della maggior parte dei supereroi Marvel, ultranovantenne ma ancora in gamba (ha sempre un cameo nei suoi film di supereroi) ha commentato: “Se Spider Man fosse stato originariamente nero, latino, nativo americano o qualsiasi altra cosa non mi dispiacerebbe che rimanesse così. Ma noi l’abbiamo fatto bianco. Non vedo ragione di cambiare le cose”. Ed era stato proprio Lee con Kirby a creare negli anni Sessanta, il primo supereroe nero, Pantera Nera, carismatico signore dello stato africano ipertecnologico del Wakanda.
Ma il nuovo Spider Man è solo uno dei tanti segnali della tendenza in atto alla Marvel: i supereroi bianchi e uomini, creati decenni fa, non vanno più bene. Thor, il dio del tuono, non è più degno di sollevare Mjolnir, il suo martello magico, ed è stato sostituito da un Thor donna. Asgard, il suo regno, adesso si è affrancato dal “regime patriarcale” del dio Odino, è stato rinominato “Asgardia” ed è governato da tre dee. Capitan America ha perso il siero del supersoldato che lo rendeva agile e forte, ed è stato sostituito come icona del sogno americano dal nero Falcon, suo aiutante da anni. Se possiamo dare una chance al Thor donna (scritto dall’abile Jason Aaron), ci lascia davvero perplessi questa sostituzione, davvero dettata dal politicamente corretto: Falcon non ha un briciolo del carisma di Capitan America (e neppure di Pantera Nera, se è per questo), è un comprimario da quarant’anni, e, soprattutto, non la sua storia (Cap ha lottato contro i nazisti nella seconda guerra mondiale, poi è stato ibernato per decenni nel ghiaccio per tornare a lottare per il Bene nell’epoca moderna). Ma Steve Rogers, l’originale Capitan America, ha il grave peccato di essere uomo e bianco. Il nuovo scrittore degli Avengers (gruppo molto popolare grazie ai film), Mark Waid, si è vantato che nella nuova formazione ci sia un solo uomo bianco (Iron Man).
Per la verità, i supereroi sono stati sì bianchi, ma “wasp” non lo sono mai davvero stati. Negli anni Sessanta la maggior parte dei fumettisti di supereroi erano ebrei e molti personaggi sono semplicemente ebrei con un nome anglosassone (come del resto avveniva nella realtà, dove il vero nome di Jack Kirby era Jacob Kurtzberg e l’oppressiva zia May di Peter Parker ricorda molto la classica Jewish Mamie).
E la Marvel è sempre stata libertaria, ha introdotto i primi supereroi importanti di colore o asiatici e, soprattutto, ha parlato metaforicamente di diversità con gli X-Men. Il gruppo di eroi mutanti, discriminati per i loro superpoteri (che in genere si manifestano nella pubertà), spesso dall’aspetto mostruoso come Nightcrawler, o addirittura alieni, sono stati un veicolo per raccontare storie di diversità ed esclusione. Però il politicamente corretto, con le sue quote “di minoranza” mal si accorda con lo spirito libertario.
[**Video_box_2**]Negli anni Cinquanta, l’industria fumettistica statunitense, per proteggersi dagli attacchi di politici e moralisti, aveva adottato un codice di autocensura, il Comics Code, a somiglianza del Codice Hays di Hollywood. Per colpa del Code, per quasi due decenni, non sarebbero più stati possibili fumetti horror o di guerra (se non in versioni molto edulcorate).
A partire dagli anni Settanta, il Code è diventato sempre meno rigido e veniva utilizzato solamente dalle principali case editrici di supereroi, la Marvel e la DC (quella di Batman e Superman), per poi essere abbandonato dalla Marvel nel 2000 e in seguito dalla DC.
Tuttavia il politicamente corretto rischia di essere un nuovo (e più pressante, visto che opporsi a esso comporta una sorta di esclusione sociale) Comics Code. L’anno scorso la copertina alternativa (molte serie a fumetti americane, specie i numeri uno, escono con una cover “ufficiale” e altre diverse per collezionisti) del numero uno di Spider Woman del nostro Milo Manara, famoso per le sue sexy donnine, è stata pubblicamente attaccata (e quindi censurata dalla Marvel) perché “offendeva le donne”. Sarebbe probabilmente successo lo stesso decenni fa con il Comics Code, avrebbero detto che “offendeva la decenza”, ma all’epoca vari autori si sarebbero mossi per difendere Manara, adesso quasi soltanto il brillante Frank Cho lo ha fatto, con un disegno molto simpatico che omaggiava la copertina.
E una delle vittime illustri del politicamente corretto è stata un simbolo della Marvel più innovativa e libertaria: Wolverine degli X-Men, il mutante canadese con gli artigli, interpretato al cinema da Hugh Jackman. Creato negli anni Settanta, era ribelle, fumava e beveva (e aveva innumerevoli donne). Nel corso degli anni lo hanno fatto smettere di fumare, poi è quasi diventato astemio, ha moderato la sua attività sessuale (ha imparato a “rispettare le donne”) e adesso è (almeno in apparenza, una resurrezione è sempre possibile) morto e sostituito da una ragazza con i suoi stessi poteri. Non sappiamo se Wolverine sia davvero morto, però chi rischia di morire davvero è l’anima creativa e libertaria della Marvel: sopravvissuta al Comics Code, sopravvivrà ora al politicamente corretto?