Come è arrivata l'onda del pianeta
Non bastava l’“emozione” spaziale di Plutone, il pianeta nano e freddo che ha un cuore, lo si vede sulla superficie, chiarissimo; ora c’è un’altra terra, che è lontanissima, a 1.400 anni luce, ma sembra niente perché è la nostra sorella più grande – più grossa, più anziana. Si chiama Kepler-452b, un’orbita di 385 giorni, poco più della nostra, soprattutto c’è l’acqua che può restare in forma liquida, quindi ci può essere la vita
Si chiama “ipotesi della rarità della terra”. E’ la nuova teoria in campo di ricerca della vita extraterreste. Rovescia la celebre equazione di Drake che non convinse un genio come Enrico Fermi. Drake combinava i numeri fantastici di galassie, stelle e fattori vari che giustificavano una formula di probabilità altissima di esistenza di civiltà extraterrestri. Fermi bruciò le attese osservando semplicemente: “Se sono così tante, perchè non sono tra noi?”. Stringente. Comunque l’equazione di Drake, “dati i numeri del cosmo la probabilità di altre civiltà è altissima”, stimolò la nascita di un movimento scientifico per la ricerca della vita extraterrestre, il Set (Search for extraterrestrial Intelligence). Eccitata dalla sensazionale scoperta (1965) della radiazione cosmica di fondo, il segnale residuo che riempie l’Universo, ciò che resta del calore iniziale del Big Bang, il suo suono fossile, prese avvio negli anni 70 l’epopea romantica della ricerca della vita extraterrestre: quella fondata sulla speranza degli scambi di segnali radio. Le onde radio sono state per la ricerca della vita extraterreste ciò che la legna è stata per l’energia. Ha segnato un’epopea romantica di scienziati in ascolto, di reti di antenne e di computer collegati, di decrittazione dei segnali innumerevoli e sempre più strani ed enigmatici che ci giungevano dallo spazio. Grazie all’ascolto delle onde radio abbiamo scoperto le fantastiche creature del cosmo attuale: stelle di neutroni e buchi neri. Ma, e ciò è diventato frustrante, niente che assomigliasse al segnale, alla telefonata, al grido di civiltà extraterrestri, di intelligenze che ci lanciassero un pur flebile richiamo di dialogo.
L’epopea del Seti è segnata da episodi commoventi, di quelli che ti inorgogliscono e ti fanno sentire una specie disposta geneticamente al bene. Nel 1972, e poi nel 1977, con le sonde Pioneer prima e con quelle Voyager poi, l’uomo pensò di scrivere direttamente ad eventuali simili cosmici. Su una placca inserita nelle sonde, come inciso su un vecchio Cd, vennero stampati alcuni parametri che a detta di Carl Sagan (di cui si dovrebbe far leggere il meraviglioso Cosmos, l’opera divulgativa per eccellenza della cosmologia del 90, come manuale in ogni scuola di ogni ordine e grado) e dello stesso Francis Drake, l’autore dell’equazione probabilistica, avrebbero consentito ad eventuali scopritori delle placche di sapere di noi. E risponderci. Magari con placche con su incisi i parametri della loro civiltà. Anche se è presto per saperlo, l’epopea dell’equazione di Drake sembra essere finita. Un po’ delusa dai risultati della traduzione delle onde radio extraterrestri che ci consegnano fantastiche scoperte della fisica dello spazio ma non esseri intelligenti come noi, la fisica si è quasi convinta che, forse, l’equazione di Drake non vale: e se fossimo soli? Inquietante ma non più così improbabile come sembrava a Drake. E come sosteneva il nostro Fermi.
[**Video_box_2**]E’ così che, piano piano, ha preso corpo la teoria opposta a quella di Drake: l’ipotesi non della probabilità ma della “rarità della vita extraterrestre”. La missione Keplero è figlia di questa nuova ipotesi astrofisica. Inutile vagare nel cosmo alla ricerca di segnali inviati da viventi. Meglio concentrarsi sulla ricerca di pianeti che possano essere candidati, per le condizioni che presentano, all’ipotesi di ospitare la vita. Qualunque essa sia. E’ la ricerca della “fascia dei riccioli d’oro” (Goldilocks): pianeti che si trovino, nel rapporto con la loro stella, in “zone abitabili”. Più o meno quelle che presenta la nostra Terra. Doveva essere una ricerca di “pianeti rari”, la versione disincantata dell’ottimismo probabilistico Non più traduzione di onde radio ma fotometria. E’ la tecnica della missione Discovery di cui fa parte il telescopio Keplero: le stelle vengono osservate per notare se la loro luminosità presenta delle attenuazioni ricorrenti. E’ il segno che sta passando un pianeta. Dell’equazione di Drake. E’ stata un fiume in piena. In pochi anni, oltre 17.000 esopianeti sono stati scandagliati come possibili candidati alla fascia di Goldilocks. Finora, però, erano tutti scandalosamente grandi. Come e più di Giove. E la grandezza non è un buon segno per la vita: un pianeta è enorme se la gravità non lo ha compattato. Ed è rimasto una bolla di gas. Impossibile per la vita. Oggi, invece, un’altra fantastica novità: il malaticcio Kepler, il telescopio pieno di acciacchi che doveva scoprire esopianeti e che stava per essere abbandonato per problemi tecnicio, ha scoperto un gemello, un pianeta che ha due caratteristiche chiave per contenere la vita: sta nella fascia di Goldilocks ed ha le dimensioni della Terra. Ci siamo?
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