Roma non crede più nella bellezza, B-XVI ci insegna ad ascoltarla

Alfonso Berardinelli
Ho visto la luce e finalmente ho capito! Tutti i mali di Roma si vedono nel traffico. In questa città i mezzi pubblici sono una realtà simbolica. Li vediamo in giro non perché servono ad arrivare da qualche parte, ma per trasmettere la falsa idea che il Comune esiste.

Ho visto la luce e finalmente ho capito! Tutti i mali di Roma si vedono nel traffico. In questa città i mezzi pubblici sono una realtà simbolica. Li vediamo in giro non perché servono ad arrivare da qualche parte, ma per trasmettere la falsa idea che il Comune esiste. Mettersi in moto per arrivare a una meta è un’altra cosa.

 

C’è chi sale in macchina. Ma sono persone pigramente normali convinte ancora che la normalità a Roma è ammessa. Chi sale in macchina non ha capito, non vede la realtà, o non ha l’età, o è vile, o non ha iniziativa e è nato per farsi fregare. A Roma i romani veri, quelli che vedono lungo e hanno mangiato la foglia, vanno in scooter. Sono abili, astuti, veloci, disinvolti, duttili, opportunisti, pronti a svicolare. Girano da un lato all’altro, sorpassano a sinistra ma di preferenza a destra. Li vedi qui e invece sono lì. Si infilano in tutti gli spazi. Il loro moto è serpentino, furbesco, anguillesco. Afferrano tutte le possibilità. Non aspettano, cambiano direzione. Conoscono tutti gli espedienti per superare gli altri. Scattano, sgusciano, scivolano, guadagnano spazio, vanno avanti, acquistano terreno.

 

Il traffico di Roma ha annichilito la proverbiale neghittosità dei romani, la loro popolaresca e aristocratica inerzia. Ha creato un tipo umano nuovo che è diffuso dovunque perché è l’unico adatto a sopravvivere. Questo tipo umano è fatto per procurarsi vantaggi, grandi o più spesso piccoli. Sa che tanti piccolissimi vantaggi valgono alla fine come un grande vantaggio. La sua testa e il suo modo di vivere sono fatti per rubare spazio, sgattaiolare, svicolare, arrivare prima, approfittare di ogni distrazione degli altri e dare agli altri ogni minima fregatura possibile. L’etica pubblica a Roma è simbolicamente, materialmente e in ogni momento visibile nell’uomo in scooter. Lui non si ferma, ti scavalca. Tu sei ancora lì e lui è laggiù. Il suo primo unico e trionfale comandamento è questo: “Evvai!”.

 

Il pedone romano, invece, cammina a occhi bassi. Non è malinconico e pensoso: guarda il sampietrino che sporge, la buca, l’avvallamento, il marciapiede sconnesso, la sporgenza, il dislivello che inganna. Pensa a non cadere. Ha sentito dire che Roma è bella. Lui non la vede, non l’ha mai vista. Il pedone romano non ha la nobile vocazione a guardare in alto. Lui guarda in basso. Deve farlo. Per i veri romani la bellezza è una cosa mai vista. Per i veri romani, da venti secoli, la bellezza di Roma non esiste. E’ una balla da raccontare ai non romani. E’ pubblicità.

 

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Che cosa sia la bellezza che eleva la mente oltre la mondanità del mondo, lo sa quel singolare, delicato, educatissimo e scrupoloso esemplare del genere umano, poco adatto a questo mondo e poco adatto a Roma, che è Joseph Ratzinger, il Papa sensibile, il Papa dimissionario. Questo giornale ha pubblicato il 7 luglio un suo discorso tenuto qualche giorno prima a Castel Gandolfo, in occasione del dottorato honoris causa conferito al Papa emerito dalla pontificia Università Giovanni Paolo II di Cracovia e dalla sua Accademia di musica.

 

Perché è importante questo discorso? Anzitutto perché illustra in modo coerente e convincente la natura più contemplativa che attiva, più teologica che pastorale, più concentrata sulla fede che sulla carità di Papa Ratzinger. Poi perché ricorda che l’arte sacra occidentale è un gigantesco fenomeno di cultura che ha caratterizzato l’Europa fino a tutto il XVIII secolo. In quel discorso si parla della musica: ma vorrei aggiungere la pittura, la scultura e l’architettura che hanno creato l’ambiente fisico e mentale europeo, così fittamente popolato di chiese, basiliche, duomi, cattedrali, statue, bassorilievi, affreschi, quadri dedicati a episodi dell’Antico e del Nuovo Testamento. L’arte religiosa europea è un fenomeno unico nelle culture del mondo.

 

[**Video_box_2**]La vocazione all’interiorità di Ratzinger lo spinge tuttavia a concentrarsi sulla più mistica e mentale delle arti, la musica. La verità e grandezza del cristianesimo sono dimostrate e provate soprattutto dalla musica: “Nell’ambito delle diverse culture e religioni” dice Ratzinger “è presente una grande letteratura, una grande architettura, una grande pittura e grandi sculture. E ovunque c’è anche la musica. E tuttavia in nessun altro ambito culturale c’è una musica di grandezza pari a quella nata nella fede cristiana: da Palestrina a Bach, a Händel, sino a Mozart, Beethoven e Bruckner. La musica occidentale è qualcosa di unico, che non ha uguali nelle altre culture”. Oltre che nelle sacre scritture Dio lo si incontra perciò nella purezza della musica: “Per questo la grande musica sacra è una realtà di rango teologico”.

 

Ascoltando la Passione secondo Matteo di Bach, lo Stabat Mater di Pergolesi, la Missa solemnis e il Requiem di Mozart non c’è quasi più bisogno di credere. Si crede semplicemente ascoltando.

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