La prevalenza del polipo. Argomenti per riabilitare un animale dall'ambigua reputazione
Fra i vasi più belli del museo archeologico di Naxos, nelle Cicladi, ce n’è uno molto panciuto di fattura micenea sul quale è dipinto un enorme polipo (a rigore si dovrebbe dire polpo, lo so, ma io qui latinizzo: polypus). In realtà ce ne sono innumerevoli, sparsi nell’Egeo e sopra tutto giù a Creta. Gli archeologi tendono a ignorarli oppure riconducono banalmente il loro soggetto a un cliché decorativo, al più si spingono fino a trovarci una simbologia vagamente afroditica, essendo i cefalopodi animali marini e Afrodite la dea che dal mare emerge schiumosa e bella. Non mi hanno mai convinto tanto, gli archeologi: nel cosmo degli avi ogni presenza, ogni raffigurazione, ogni scelta stilistica rinvia a qualcosa di ulteriore, di simbolico e più profondo. Senz’altro sacro. E’ così anche nel caso dei polipi dipinti? Quelli veri da molto tempo finiscono nelle insalate di mare ma non godono di chiara fama tra gli umani. “Fare il polipo” è l’espressione retorica usata per indicare una lubricità sessuale molesta; la piovra è diventata sinonimo di “mafia” per via della sua struttura tentacolare e vischiosa, come numerose azioni che denotano obliquità e cattivi propositi. Ricordo un film degli anni Ottanta, “Octopussy - Operazione piovra”, che prende il nome da una specie di regina amazzonica (Octopussy), figlia di un ex agente segreto britannico suicidatosi con un polipo velenoso, e con la quale finisce per familiarizzare James Bond. Forse il polipo ci attrae e ci spaventa per la sua forma così ambigua e inattuale, per i suoi lineamenti da mostro marino, per la sua misteriosa facoltà d’intorbidare l’acqua inchiostrandola. Ieri, aprendo il sito dell’Independent e sfogliando il Daily Telegraph, ho pensato che per complimentarsi fra di loro gli uomini dovrebbero dire: sei intelligente come un polipo; e per descrivere un assassino impeccabile dovrebbero dire: uccide come un polipo. Un po’ lo si sapeva, ma adesso gli scienziati hanno ufficialmente restituito tutto l’onore di cui è degno l’intelletto superiore e antichissimo del polipo, che si è manifestato in anticipo di circa 230 milioni di anni rispetto a noi mammiferi. Gli scienziati del Cephalopod Sequencing Consortium (riunisce le università di Chicago e Berkeley e l’Institute of Science and Technology di Okinawa) hanno appena concluso la mappatura dell’immenso genoma del polipo (33mila geni contro i 23mila nostri). “E’ il primo essere intelligente apparso sul pianeta”, dice del polipo il premio Nobel Sydney Brenne (Cambridge University): una macchina sofisticatissima, dotata di un sistema nervoso più complesso della media animale, con neuroni dislocati perfino nei tentacoli. Le sue capacità motorie, metamorfiche e mimetiche, sono leggendarie. In cattività, sa svitare un barattolo per attingere a un buon pasto. Quando va a caccia, un colpetto sulla spalla della preda di solito significa che il suo tempo è scaduto: quella si gira spaventata da un lato e intanto dall’altro… zac!
E tutto questo il polipo lo fa da centinaia di milioni di anni. Lo si direbbe antico come il mondo, ma non è così se si pensa che al Sole, simbolo visibile dell’intelligenza suprema, si attribuiscono quasi 5 miliardi di anni. Ma l’uomo moderno ha sempre questo vizio di misurare, oltre ai geni, l’età altrui e propria, prigioniero com’è delle categorie spazio-temporali.
L’uomo più antico non si poneva certi inutili quesiti temporali: non periodizzava, intuiva. E nel polipo ha riconosciuto il simbolo del solstizio d’estate, il 21 giugno, quando il Sole entra nella costellazione del Cancro e comincia il suo progressivo, plumbeo cammino decrescente. Scrive René Guénon: “I tentacoli del polipo sono in genere diritti nelle raffigurazioni scandinave, mentre sono arrotolati a spirale negli ornamenti micenei; in questi ultimi, si vede apparire assai frequentemente lo swastika oppure certe figure che ne sono manifestamente derivate. Il simbolo del polipo si riferisce al segno zodiacale del Cancro, che corrisponde al solstizio d’estate e al ‘fondo delle Acque’; è facile da ciò capire come esso abbia potuto talora essere preso in un ‘senso malefico’, essendo il solstizio d’estate la Ianua Inferni”, cioè la porta degli Inferi (gli hindu la dicono Pitri Yana o porta degli antenati) cui si contrappone la Ianua Coeli del solstizio invernale, la Deva Yana o porta degli Dei che si apre con il Sole in Capricorno e viene simboleggiata dall’apollinea immagine del delfino. Che sia questa l’origine dell’ambigua reputazione assegnata al polipo? Non è tutto. I cefalopodi in generale hanno un’altra caratteristica trascurata dagli scienziati contemporanei: le loro gonadi, e cioè gli organi anatomici che producono le cellule sessuali chiamate gameti, sono situate al vertice del capo (kephalé), anche se poi l’accoppiamento avviene tramite un tentacolo speciale (ectocotile). E a proposito di teste e d’intelligenza sottile, la cosa davvero interessante è che la figura del cefalopode richiama quella della tiara. La tiara è il copricapo della regalità, nell’Egitto dei Faraoni designava l’unificazione dell’Alto e del Basso regno nella persona del sovrano, manifestazione sensibile del dio solare Osiride (la sua tiara è notoriamente alta e piumata, si accompagna al bastone pastorale nella mano destra e alla frusta nella sinistra, in omaggio a una fitta rete di rimandi occulti poi usurpati dal monoteismo). Ma la si ritrova anche nel mondo persiano, come coronamento di numi elevati.
[**Video_box_2**]Al riguardo, negli anni Venti del secolo scorso, Gennaro D’Amato, studioso di antichità atlantidee, scrisse alcune righe interessanti: “La prima parte del termine cefalopode dato al polipo si rapporta al capo, e per esso all’encephalus, vocabolo a cui si collega phallus. La sillaba phal, fal, è mutazione di alph, alf, aleph, cioè A, principio di tutte le cose. Guardiamo le tiare degl’iddii e le sacerdotali a forma di polipo e di trilobiti… e intenderemo lo spirito ispiratore del costume, poiché le tiare si modellano sulle forme della fauna marina, origine di vita, e quindi origine della vera vita, la spirituale, l’intellettuale”. Ecco dunque una traccia da seguire, un lacerto di sapienza che ci è giunto a cavallo di una ricerca metafisica abbastanza recente (nemmeno cento anni, ma chissà dove affondano le radici…), sia pure con qualche paraetimologia un po’ traballante, e che la scienza accademica conforta, diciamo, a modo suo. Riscontrando nel nostro esserino acquatico una vetustà e certe qualità che i pittori di Naxos magari ignoravano, ma forse intuivano.