Finalmente siamo tutti poeti? La deriva demagogico-populista sulla poesia
"La poesia è viva, evviva la poesia”. Così domenica scorsa sulla Lettura del Corriere della sera suonava il festoso grido domenicale con cui è stato titolato un lungo articolo di Paolo di Stefano. Il rasserenante messaggio (palline di zucchero lanciate al popolo dei poeti) era specificato nei sottotitoli: il numero e la qualità degli autori contraddicono i catastrofisti , ci sono “editori eroici, gli spazi sono salvi, i versi trovano lettori, ma s’è perso il dialogo tra le generazioni di scrittori”.
Ecco: prima la gradevole bugia e poi, in coda, una semplice verità: fra i tanti e solerti poeti di oggi e i pochi poeti di ieri “s’è perso il dialogo”, come dire che la continuità è interrotta e quella che oggi chiamiamo poesia nella maggior parte dei casi ha poco a che vedere con quella che si definiva poesia ieri. C’è forse stata una radicale rivoluzione formale? Come quella che un secolo fa allontanò la poesia novecentesca da quella del secolo precedente?No, nessuna rivoluzione formale, ma una rivoluzione sociale: il popolo ha preso il potere poetico. Evviva, siamo tutti liberi di creare, di esprimerci, di pubblicare. Con in più il diritto di avere diritto (per dirla con quel retore di Rodotà) di essere considerati poeti se lo desideriamo fortemente, se siamo fermamente convinti di esserlo. Sentirsi poeti, riuscire a pubblicare, equivale al diritto di essere considerati poeti, “a prescindere” da quello che abbiamo scritto. Chi ha da obiettare sulla sostanza (sulla qualità, il valore, l’interesse) è un catastrofista.
Il populismo in politica ha le sue controindicazioni, perché accarezza i desideri e sogni delle maggioranze. Ha tuttavia delle buone ragioni in ogni sistema democratico in cui il potere in teoria appartiene al popolo. Il populismo poetico è invece solo ridicolo. Meriterebbe una satira surrealista (ah, se i surrealisti esistessero ancora!) o una scena da teatro dell’assurdo, in cui compaia un solo innocente lettore inseguito da venti poeti che rivendicano il diritto di essere letti da lui… Anche in poesia vige ormai un paradosso, come dovunque nella società: la pretesa di appartenere a un club esclusivo che però apre le porte a tutti.
Paolo Di Stefano ascolta vari pareri e sembra (sembra) arrivare ancora una volta a ottimistiche conclusioni. Si può starlo a sentire dubitando o meno. Ma quello che conta sono i cinque elenchi di poeti con marca da bollo applicata e certificato rilasciato dal Corriere. Trascuro il primo elenco, brevissimo, quello dei nati prima del 1930: Nelo Risi, Giampiero Neri, Giancarlo Majorino, Franco Loi. Qui c’è poco da obiettare. Ma i quattro elenchi che seguono contengono 54 poeti. Sono troppi, ma anche pochi. Circa un anno fa, secondo il critico Alberto Casadei, i poeti in attività erano 110, cioè il doppio (gli scrissi una letterina aperta perché aveva dimenticato del tutto i 6 che pubblicai io da Scheiwiller: Carlo Bordini, Bianca Tarozzi, Riccardo Held, Giorgio Manacorda, Paolo Febbraro, Matteo Marchesini).
Nicola Crocetti, editore della rivista Poesia, parla di come accertare i “valori autentici” fra le “centinaia di libri che escono”. Bel problema. Anzi il solo problema. Ma ognuno può notare che oggi quasi non c’è critico che vada d’accordo con un altro anche se si devono individuare soltanto i dieci nomi più sicuri. Se si arriva a 54 (secondo Di Stefano), a 64 (numero caro Cortellessa) o a 110 (numero scelto da Casadei) regna la confusione ma traballa anche la demagogia poetico-populista, perché il popolo dei poeti esclusi anche da elenchi così generosi è almeno altrettanto ampio di quelli inclusi.
[**Video_box_2**]Sarebbe divertente praticare il metodo dell’indovinello. Un esempio: i Novissimi della neoavanguardia erano Giuliani, Pagliarani, Sanguineti, Porta, Balestrini. Fra questi i poeti erano due. Indovinate quali. Scorrendo gli elenchi dei poeti nati dopo il 1930 e arrivando al 1980, provate a indovinare per ogni decennio quali sono i “valori autentici” e quali i presunti diritti poetici, acquisiti per anzianità o per “usucapione”. Per quanto mi riguarda, di poeti leggibili ne ho trovati non più di 10 o 12 su 54. Indovinate quali sono, procurandovi una copia della Lettura in edicola fino a Ferragosto.
Ps. Quanto alla leggibilità dei poeti, non bisogna fare i furbi. Si può essere grammaticalmente chiari eppure illeggibili, nel senso che, dopo aver letto, la lettura risulta inutile. Oggi i poeti chiari da leggere sono aumentati. Si legge e non è che non si capisca: ma non si capisce il perché viene detto in quel modo ciò che viene detto, dal momento che leggendo viene subito voglia di dirlo diversamente, o di non dirlo affatto. L’illeggibilità è questo.
Alfonso Berardinelli