L'anti Saviano c'è (in Francia)
No, decisamente la Francia non è l’Italia. E Michel Houellebecq non è Roberto Saviano. Da quelle parti non giocano a fare i furbetti. Il senso del dibattito intellettuale non è “traquer le dérapage”, bastonare chi esce dal seminato dell’ideologia dominante: questa è cosa non compatibile con il rigore, il rispetto dei fatti, il disinteresse che deve dimostrare colui che, anche senza volerlo, ha ruolo di coscienza civile.
Michel Houellebecq, autore seriale di best seller mondiali, rifiuta il corteggiamento, insistente, di una giornalista del Monde, prestigioso e sinistrorso organo della Parigi che conta: le interviste esclusive che lei gli proponeva decide un po’ per ripicca, un po’ perché è strambo, di concederle al destrorso e reazionario Figaro. Roberto Saviano invece, autore che ha imbroccato l’opera prima e sbagliato la seconda, si lega organicamente al quotidiano che per collocazione politica è assimilabile al Monde: ha scelto dunque di fare il megafono dei revisori fochettiani dei conti morali della Nazione, a tempo perso è pure autore televisivo, cinematografico, rotola beato tra Fazio e Santoro e le serate da servizio pubblico, si è eletto a profeta di un mondo senza criminali, con molte culture e religioni che convivrebbero in armonia. Uno così mai scarterebbe, mai si aprirebbe alla stampa di destra, in quanto tale immonda.
Lo stralunato, etilico Houellebecq ci ha dato le “Particelle elementari”, la “Carta e il Territorio” e da ultimo “Sottomissione”, stupefacente pamphlet che la realtà si sta incaricando di imitare, in cui la Francia del 2022 si ritrova un presidente musulmano all’Eliseo in modo non traumatico; per paura della guerra civile e religiosa, poco a poco i francesi si piegano alla minaccia che avanza abilmente mascherata e accompagnata dalla melodiosa musica dei soldi degli emiri. Il timido, fobico Houellebecq non sa cosa sia l’Europa e si sente abbastanza francese, quanto meno per una questione a lui essenziale, la lingua: e tuttavia vive in un quartiere dove non ci sono francesi, nel XIII arrondissement di Parigi, a Chinatown, perché i cinesi sono discreti e solo con gli asiatici si sente stranamente al sicuro. Saviano è agli antipodi, nei cinesi riesce a vedere solo l’immagine di riserva di lavoro nero e di evasione fiscale al servizio della criminalità organizzata. E mai ha avuto l’umiltà di dire che non si sente europeo, non si sente universale, meno che mai guardiano del pianeta, di sentirsi invece semplicemente italiano.
[**Video_box_2**]Erede degli intellettuali che fecero grande la Francia nel secolo scorso – la pattuglia, piccola ma agguerrita, che oggi si oppone al pensiero dominante e impedisce di “pénser en rond” – Houellebecq riconosce le biforcazioni essenziali della storia come durante gli anni del nazismo e del comunismo: dopo l’eccidio nella sede di Charlie Hebdo, dice Houellebecq, nessuno crede più che le cose possano aggiustarsi e peggio ancora nessuno più se lo augura. Questa dimissione da se stessi, dal proprio passato, il rimanere attoniti senza nemmeno la forza di gridare se il rettore della moschea di Parigi chiede come la cosa più naturale del mondo di riconsacrare all’islam le tante chiese di Francia abbandonate, questa gigantesca rimozione collettiva dunque è il primo passo verso una fatale, ineluttabile sottomissione. Non che credano in una rinascita religiosa, su questo gli Houellebecq, i Finkielkraut, i Zemmour, non si fanno alcuna illusione, questo è davvero il tempo del disincanto.
Roberto Saviano un problema simile non se lo pone perché non lo vede e non lo vede perché non vuole vederlo. Non svela verità nascoste come pure fece in Gomorra: il Saviano di oggi occulta verità palesi. Non ha alcuna traccia di quel patriottismo della compassione in cui Simone Weil vedeva l’umana tenerezza per una cosa bella, preziosa, a rischio di decomposizione, e che è, oggi, la terra dei padri.