Non solo terrorismo. I danni della polizia del pensiero. Appunti per il popolo dei Saviano
Lo osserviamo tutti i giorni anche se spesso non ce ne accorgiamo e viene da pensare che il virus sia ormai entrato in circolo come se fosse una malattia cronica con cui il nostro organismo sa che dovrà fare i conti più o meno per tutta la vita. Lo osserviamo quando parliamo e quando leggiamo di Libia, di islam, di Stato islamico, di matrimoni omosessuali, di giustizia, di bioetica, di guerra, di Grecia, di troika, di terrorismo (leggere per credere le cronache e i commenti di questi giorni sul terrorista marocchino che venerdì ha aperto il fuoco su un treno tra Amsterdam e Parigi) e l’impressione è che vi sia un inconfessabile parallelismo tra il virus del politicamente corretto, con tutte le sue sfumature che vanno dal micheleserrissmo passando per il beppeservegninismo e il lauraboldrinismo, e la lenta e inesorabile ritirata culturale dell’occidente. Non nominare qualcosa, castrando le parole e schierandosi sempre laddove scorre il fiume del pensatore collettivo, è il modo migliore per far finta che un problema non esista. E in fondo non c’è strategia più efficace per affermare un pensiero unico che considerare progressivamente quell’unico pensiero come se fosse il solo degno di essere discusso e argomentato.
Da molti punti di vista l’estate che si avvia verso la conclusione è stata la stagione dell’ultra politicamente corretto e del conformismo spacciato per buonsenso. Dove per l’ennesima volta abbiamo osservato fenomeni semantico culturali che hanno avuto l’effetto di trasformare in verità assolute formidabili banalità e che hanno avuto la capacità di trasformare ragionamenti diversi dal mainstream in una forma di pensiero pericolosamente eversivo. Non ci sono sfumature. Se provi a ragionare sulla necessità o meno di approvare una legge sul matrimonio omosessuale ed esprimi il tuo parere contrario non sei soltanto un critico di una posizione culturale ma diventi automaticamente un maledetto omofobo che non ha diritto di tribuna perché propone un punto di vista fascista, forse nazista, che non può che passare dunque sotto le forche caudine della censura collettiva. Se provi a spiegare che di fronte a un attentato di matrice islamista è una sciocchezza e forse anche una vergogna concentrarsi solo sul problema del terrorismo senza prendere in considerazione il problema dell’islamismo non sei solo un critico del politicamente corretto – e non sei solo una persona che prova a spiegare in modo concreto come sia inevitabile parlare della natura dell’islam quando si parla di terrorismo islamico – ma sei solo un maledetto provocatore che con il tuo punto di vista non fa che alimentare l’islamofobia e dunque non fa che giustificare in qualche modo anche la stessa reazione degli islamisti. Se provi a spiegare che è una vergogna assoluta che un paese come l’Italia sia sotto continuo ricatto dei talebani delle intercettazioni non stai ponendo un problema legato alla necessaria tutela del nostro stato di diritto ma stai semplicemente facendo il gioco dei criminali, di chi ha qualcosa da nascondere, perché se non hai niente da nascondere, brutto idiota, non si capisce che diavolo te ne freghi a te di farti intercettare a telefono con tua sorella.
Potremmo andare avanti per ore e raccontare altri mille esempi che riguardano conversazioni quotidiane che dimostrano come gran parte della cecità di un pezzo dell’Occidente sia legata anche al voler ragionare con l’unico criterio del Banalismo Collettivo e al suo voler nascondere alcuni problemi mascherandosi sempre da grande alfiere del politicamente corretto. Camille Paglia, in una meravigliosa intervista concessa qualche tempo fa al nostro giornale a Mattia Ferraresi, ha descritto in modo definitivo il clima censorio e perbenista che circonda il politicamente corretto e che caratterizza tutti coloro che tracciano il confine fra il legittimo e l’illegittimo nel discorso pubblico non sulla base di un ben perimetrato codice morale ma intorno alle linee incerte della libertà individuale. “Abbiamo assistito a un docile golpe culturale nel nome dell’uguaglianza, articolato con il linguaggio accondiscendente dei diritti, non imposto con il manganello della buoncostume… E invece di difendere il vibrante individualismo degli anni Sessanta, la sinistra è diventata una polizia del pensiero stalinista che ha promosso l’autoritarismo istituzionale e ha imposto una sorveglianza punitiva delle parole e dei comportamenti… La libertà di espressione era la vera essenza, l’anima della politica di sinistra degli anni Sessanta, che reagiva al conformismo e alla censura degli anni Cinquanta, alla quale si opponevano già prima gruppi radicali underground, i poeti Beat e gli artisti di San Francisco e del Greenwich Village”.
[**Video_box_2**]Il grande paradosso culturale sul quale dovrebbero riflettere i Michele Serra e le Laura Boldrini oggi è dunque questo. La polizia morale che considera “omofobi” tutti coloro che criticano il matrimonio omosessuale”, che considera “collusi” tutti coloro che criticano il sistema giudiziario”, che considera “maschilista” chiunque si permetta di criticare una donna, che considera “servo di Israele” tutti coloro che criticano l’accordo sul nucleare iraniano e che considera “razzisti” e “islamofobi” tutti coloro che ragionano sul rapporto che esiste tra terrorismo e islamismo (mi raccomando, eh, continuate a far finta di niente, continuate a chiamare l’attentatore marocchino che tre giorni fa ha rischiato di fare una strage su un treno tra Parigi e Amsterdam solo terrorista omettendo il suo essere “islamista”) è una polizia liberticida che ha una radice più di sinistra che di destra. Il politicamente corretto in un certo senso sta distruggendo la libertà di espressione e il fatto che la cultura di sinistra oggi sia complice di questo omicidio dovrebbe indignare i Saviano e le Boldrini forse persino più di chi prova a navigare in senso contrario il paludoso fiume del politicamente corretto.