Gli spiaggiati
Capri, più umida che rara
Sull’isola di Capri c’è la nuvoletta di Fantozzi. Una coltre, proprio, una specie di cuscino di umidità che la avvolge tutta, soprattutto al mattino, e che fa dire a tutti: “che umido, che umido”. Però che bello. E tra gli infiniti miti e stereotipi capresi, dai gentiluomini con pappagallo in spalla alle signore con pantera al guinzaglio, alle frocerie più araldiche, meglio allora partire dal ragionier Ugo, matricola 1001/bis dell’Ufficio Sinistri.
Ecco allora un tour quasi filologico: si parte da Roma, anzi da Sabaudia, non con una bianchina 1100 ma con l’Audi A3 che ci accompagna in questo viaggio spiaggiato. E quindi non si devono sentire i lamenti della signorina Silvani: che certo “Calboni era quello che era, però l’abbiamo fatta in un’ora e venti in duemilaeotto spider”. Contro le undici ore, “undici ore e quaranta” che Fantozzi impiega. Noi non si ha il duemilaeotto ma il mille e otto Tfsi cioè un turbo a benzina, e siamo dunque più in area Calboni, si va giù per l’Autostrada del Sole con una amica simpatica, e non si imbarca neanche la macchina a Napoli, fuoriuscendo poi dall’altro lato del piroscafo e precipitando in mare come il ragioniere, ma si lascia invece l’auto a una gentile concessionaria Navalcar e si prende l’aliscafo.
Si arriva e si viene subito circonfusi dall’umidità caprese. Mentre a Positano splende il sole, mentre a Ischia brilla il cielo, e a Procida scintilla l’orizzonte, a Capri c’è questa foschia da tagliarsi col coltello, i libri si arricciano sul comodino (Roberto D’Agostino, che ha casa qua, ma non ci viene, al Foglio: “Ti spunta la trota sotto l’ascella”; proprietari di case milionarie, che ci vengono: “Ma come, non lo sai, c’è un’umidità pazzesca qui, lo sanno tutti”, dicono soddisfatti). Al mare poi è impossibile andare: “Non è un’isola di mare!”, dice serio Riki Sospisio, uomo d’affari mitteleuropeo, incontrato in Funicolare, con un cane grosso che non si chiama Ivan Il Terribile trentaduesimo bensì Artù, e non è un dobermann ma un pastore dei Pirenei. Andare al mare infatti è scoraggiato, disincentivato, scomodissimo, tra folle e taxi e vicoli e pertugi. Meglio allora un bagno in piscina: e naturalmente si chiederà: “Scusi cameriere, com’è l’acqua?”. Quello non risponderà per fortuna “Quale acqua?”, e non seguirà tonfo nel calcestruzzo.
Siamo al Quisisana, oggi come allora “il più lussuoso albergo di Capri”, e il delizioso antico direttore, Gianni Chervatin, oggi boss del portale Caprionline, racconta di quando girarono la scena della piscina. “Solo quella fu girata qui, in un pomeriggio. Doveva essere febbraio perché in giro per Capri c’erano ragazzini in maschera. L’Hotel era chiuso per ristrutturazione”, dice Chervatin al Foglio. “Villaggio era nostro cliente abituale insieme alla moglie e ai figli, prendeva sempre le camere 507 e 508, proprio vicino alla piscina”, dunque ecco queste camere, e la piscina a parte un piccolo mausoleo con scritto “I love Capri”, è proprio quella del film. “All’epoca c’era anche un ulteriore avvallamento sotto, dove adesso c’è lo stemma”, e in effetti c’è lo stemmone dorato del Quisisana, e lì c’era un ulteriore anfratto dove il ragioniere si schiantava. “Avevano messo un materasso su cui uno stuntman, non lui, cadeva. Tutto fu girato in un giorno, mentre Villaggio era ospite in qualche villa qui, perché l’hotel, appunto, era chiuso”.
Irriconoscibile la hall dove Fantozzi firma “un chilo e due di cambiali” per la suite reale; perché tutti gli interni, pare, sono stati girati a Roma, all’Hotel delle Nazioni. Il Quisisana fu fondato come sanatorio (Qui-si-sana); con questo umido? Mah. “Nel 1863 il medico inglese George Sidney Clark chiese al comune di aprire una clinica”, dice al Foglio Riccardo Esposito, autore di “Biografia del Grand Hotel di Capri”, edizioni La Conchiglia. “All’epoca c’era la moda delle cliniche, nasceva la Costa Azzurra, nasceva Davos, soprattutto in Inghilterra l’alta borghesia e l’aristocrazia soffrivano molto di tisi, e si poneva la necessità di cambiare aria”, dice Esposito, che è anche uno dei due proprietari delle scicchissime edizioni La Conchiglia.
Sul cambio d’aria a cinque stelle lusso prosperò anche Axel Munthe, altra leggenda caprese: medico svedese, autore di un romanzone caprese, costruì ad Anacapri la sua dimora. Ci si arriva a piedi, oggi, e superato una specie di mall con limoncelli e orpelli e merchandising, si arriva finalmente alla villa San Michele, ove sventola la bandiera svedese perché tutto fu poi donato al governo di Stoccolma. Lungi dal costruire una clinica per dimagrire simile a quella delle polpettine di Fantozzi, Munthe portò qui le sue clienti più araldiche tra cui la principessa Vittoria di Svezia, con cui suonavano Wagner; i cd che suonano nella cappella di San Michele sono acquistabili al bookshop, a Capri non regalano niente, si sa. E qui c’è anche un baretto che sembra quello dell’Ikea, con fasciatoio e tutto. Del resto Munthe era nato a Småland, come si chiama l’area giochi del grande magazzino svedese. Arredi qui poco Ikea, però, con alti letti di ferro battuto e leggii e pendole e propilei e colonnine, una specie di Vittoriale solo più piccolo, con vista bestiale sul Golfo di Napoli, e si capisce che Munthe, ipnotizzatore, psicologo, confidente, avrà guarito più per la location che per i trattamenti, con tutte queste altezze reali col male di vivere provenienti dal nord Europa; mentre Anacapri è l’unico posto dove si respira, sull’isola. Da Vienna il professor Krafft-Ebing gli mandava nevropatici dei due sessi e di nessun sesso”, scrive uno che se ne intende, Bruce Chatwin, in “Anatomia dell’Irrequietezza”. L’imperatrice Sissi voleva comprarsi proprio tutta la clinica: insomma tutti volevano stare in questo villone stile “romanico-saraceno”, con statue finte e vere e frammenti di marmi antichi ficcati nei muri “come noccioline nel torrone” (sempre Chatwin). Però, in questo Vittoriale sur mer, una vista molto meglio dell’originale sul Lago di Garda.
Atmosfere invece forse da “Salò” pasoliniano nell’altra grande villa, quella di Jacques Fersen, altro mitomane caprese. Si va dunque via da Anacapri, ed è come spegnere l’aria condizionata. La nuvoletta è sempre lì, in testa, vien subito mal di testa per l’umidità. Si cammina quasi un’ora e si arriva a questa vila Lysis che pare il castello bavarese di Linderhof, o anche una villa sulla Nomentana, o anche la villa Miani delle cene chez Serbelloni-Mazzanti vien dal Mare, con una sua impostazione neoclassica con spruzzate di secessionismo viennese, come spiega una brava guida dell’associazione Apeiron che da poco ha riaperto al pubblico la villa. La dottoressa Melania Esposito mostra il sogno di Fersen, che come molti aveva trovato a capri il sogno della sua trasgressione, a partire da quella edilizia. Ecco questo villino con fumeria d’oppio nel seminterrato, tra maioliche decorate a svastiche (“ma era una decorazione classica, il villino è del 1904, spiega la dottoressa”). Tutto un inno ai pischelli, dal nome, villa Lisys (Liside, amico twink di Socrate), alla “giovinezza dell’amore” in facciata, alle foto svariate del pischello Nino Cesarini – con pisello di fuori, con culetto in primo piano, e teschio sul comodino, in un mélo caprese che poi naturalmente finì malissimo: con overdose di coca e decesso del Fersen, nel 1923. Nino era un garzone di edicolante conosciuto a Roma, trasportato qua, e il ménage di villa Lysis, per niente vituperato dai locali, contribuì al mito della Capri libertaria. Epiche oggi impossibili, non solo per la crisi delle edicole e della carta stampata. Oggi tutto è spoglio e stupendo con dei bellissimi terrazzi azzurri a guardare il mare, e dei profuma-ambiente Carthusia, che è sponsor, perché a Capri tutto ha un prezzo.
[**Video_box_2**]Però di tutte queste trasgressioni non è che ci sia più l’ombra, oggi. Né omo né etero, solo frocismi inconsapevoli e nostalgici: ecco belloni biondi e mori molto metrosexual con la gamba avvolta nel pantaloncino caprese stretto, e lo scarpino di velluto e la camicia stretta, strettissima, praticamente tatuata addosso, e battono molto le ciglia, in fiumi di Vétiver che sono l’odore naturale di Capri; in compagnia però di fidanzate e mogli molto basse e nervose che li comandano, e saranno invariabilmente del Minnesota o del Vomero. “Capri è finita quando sono arrivati gli etero”, sentenzia Roberto D’Agostino. “Come Ventotene era l’esilio per i politici, Capri era il confino per i gay”. Ma insomma che si fa a Capri? “Si vedono gli amici, si sta nelle case”, dice Sospisio. Si sta in piazzetta, e lì, attenzione, perché “i bar giusti sono due, il Piccolo per i locali, e il Tiberio per i forestieri”, insegna. Ora c’è Mastella col maglioncino sulle spalle, seduto in un bar che non è né l’uno né l’altro.
“Io una volta nella piazzetta vedevo passare una persona eccezionale o straordinaria per bellezza o originalità o per il vestito”, dice Raffaele La Capria, autorità morale e letteraria caprese. “Adesso si vedono soltanto facce di persone molto comuni che non destano nessuna meraviglia”. Alle undici di sera al bar del Quisisana ci sono giovani vitelloni con camicie a righine e iniziali selvagge e Rolex, ecco poi Maurizio Raggio, l’ex fidanzato della contessa degli elicotteri; ecco americane secchissime in lini bianchi e foulard floreali che sognano disperatamente di vivere negli anni Cinquanta. Arriva Memmo, vitellone locale, già stravolto, perché quest’anno i vigili hanno imposto al coprifuoco a mezzanotte per la musica e dunque le feste cominciano alle otto. Si narra di altri party, che pure devono esserci e ci sono: e colazioni in elicottero a Panarea, però qui tutti vanno più che altro all’Anema e Core, il locale di Guido Lembo sotto la piazzetta. Ed è sempre affollato, anche se quando ci vado io il locale è mezzo vuoto (ma è lunedì), ci sono dei milanesi da barca, ma da barca a motore, piccola. Di notte passa un signore con molti bracciali, mi dicono “è il sosia di Diego Della Valle, è tutta la vita che studia per essere come lui”.
Altre novità: ha aperto il Salotto 42, spinoff del locale per farsi vedere romano. Altri vitelloni vanno al Number Two, un classico. E davanti a un Moscow Mule: “Ah, Capri è unica”. “Ah, come si sta bene qua non si sta da nessuna parte”. Nessuno però riesce a spiegarti esattamente perché. Un celebre aristocratico che non vuole assolutamente essere citato dice che “la Capri di una volta è finita, adesso sono solo gli arricchiti che arrivano in giornata o nel weekend e le boutique delle grandi griffe”, e altri protestano perché nessuno sa farti più un pantalone caprese o uno zoccolo.
Le vie dello shopping a ferragosto sono un incubo, cioè il sogno del negoziante: si vende e si stravende. A parte i globali Prada, Gucci, Vuitton, coi loro cappotti già pronti per la prossima stagione, un uso intensivo del brand, “Caprigo”, “100%Capri”, “Socapri”, con sedi, come da cartello, “Capri-Bergamo”. Adesso però la passione delle dame è andare a comprare dall’outlet Russo giù a via Acquaviva. Eleganze e eccentricità, passate per sempre: Dado Ruspoli col pappagallo sulla spalla, “quell'estrema eleganza di tutto, del vestito, dell’atteggiamento, quella disinvoltura che hanno soltanto le persone straricche” (La Capria), non tornerà. Roberto D’Agostino: “I ricchi sono andati via, sono arrivati quelli coi soldi”. Però non tutti sono d’accordo: “ogni tanto arriva gente non solo ricca ma anche interessante; ora per esempio è arrivata una signora molto intelligente che ha preso una grande casa con discesa a mare, rarissima, a Marina Grande” dice Sospisio. Poi c’è il duca del Somerset. C’è Larry Ellison con la sua barca”. Niente divine marchese tipo Casati, però, con la pantera al guinzaglio (chissà cosa ne avrebbe detto l’animalista Munthe). O dame artistiche come Graziella Lonardi Buontempo, signora del contemporaneo corteggiata da Gianni Agnelli e “il più bel culo di Capri”, cui fu dedicata “Luna caprese”. Adesso si va invece al nuovo ristorante-pizzeria di don Alfonso, una specie di pizzeria costruita in luogo della antica Gemma, ed ecco una Raffaella Carrà a palla, e una tavolata con Adriano Panatta e Peppino di Capri impallata da due tavoli di uzbechi o kazachi con sandali e colbacco d’astrakan, e un cameriere su di giri che tratta male tutti, e davvero sembra quello che perseguita Fantozzi tra Roma e Courmayeur.
Qualcuno ci prova, a riportare Capri alle glorie passate; anche riprendendo l’esempio della Lonardi, che istituì gli Amici di Capri, insieme ad Alberto Moravia, Marella Agnelli, Liliana Cavani, Romolo Valli, Giorgio De Lullo, portando il teatro sull’isola. E istituendo il premio Malaparte, oggi presieduto proprio da Raffaele La Capria. Il premio continua a tenersi qui, e il prossimo 10 ottobre ci sarà il nuovo vincitore dopo nomi internazionali come Emmanuel Carrère, Julian Barnes e Donna Tartt. Poi ci sono “Le conversazioni” di Antonio Monda, a giugno, che pure portano scrittori top come Foster Wallace o Franzen.
Insomma, meglio darsi alla lettura e alla letteratura. Tanto, al mare non si va. “Non è un’isola di mare”, diceva Sospisio. E comunque “è un mare drammatico, da Böcklin, da sturm und drang. Un mare di montagna. Ed ecco all’improvviso l’illuminazione: siamo a Cortina, siamo in Baviera: e infatti ecco, giù a Marina Grande, tutti ricordano la famosa macelleria “Cortina d’Ampezzo”, perché la proprietaria era di Belluno; ecco una fondamentale mostra, ora, alla Certosa, su “L’emozione della Vertigine”, con fotografie di alpi e faraglioni indistinguibili (e la mostra poi si sposterà a Cortina, come tutti i vacanzieri veramente chic). Ecco naturalmente la dolomia, la pietra scoperta da monsieur de Dolomieu, che compone sia le Tofane sia i Faraglioni. C’è anche una bella seggiovia, su ad Anacapri. Volendo, si può anche dire, sotto la nuvoletta, “io sono stato azzurro di sci”. Sci nautico o da montagna, fa lo stesso.