Il premio Nobel per la Letteratura, Imre Kertész

“L'islam conquista l'Europa infantile”

Giulio Meotti
Il premio Nobel per la letteratura, l'ungherese Imre Kertesz, è morto oggi all'alba nella sua casa di Budapest. Deportato nei campi di sterminio nazisti di Auschwitz e Buchenwald, fu l'autore di "Essere senza destino". Ripubblichiamo un'intervista d'archivio che Kertész rilasciò a Giulio Meotti lo scorso settembre.

Il premio Nobel per la letteratura, l'ungherese Imre Kertesz, è morto oggi all'alba nella sua casa di Budapest. Nato il 9 novembre del 1929, ebreo, deportato nel 1944 prima ad Auschwitz poi a Buchenwald e sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti, Kertesz è stato il primo scrittore di lingua magiara a ottenere il premio Nobel, che gli fu assegnato nel 2002. Della vita di un giovane nei campi di concentramento Kertesz racconta nella sua opera più famosa, "Essere senza destino", pubblicata nella generale indifferenza nel 1975 e poi riconosciuta negli anni come una delle più importanti della letteratura europea. Ripubblichiamo un'intervista d'archivio che Kertész rilasciò a Giulio Meotti lo scorso settembre.

 


 

Roma. A quindici anni, nel 1944, Imre Kertész fu deportato nei campi di sterminio nazisti di Auschwitz e Buchenwald. Ne uscì per miracolo, per essere sepolto sotto la dittatura comunista del partito unico a Budapest e licenziato come giornalista perché rifiutava di “normalizzarsi” al vassallaggio di Mosca. Così divenne operaio di giorno e scrittore di notte, mentre traduceva dal tedesco autori come Nietzsche, Hofmannsthal, Schnitzler, Freud, Roth, Wittgenstein e Canetti. Il suo primo romanzo esce nel 1975, dopo dieci anni di ostracismi. Si tratta del capolavoro “Essere senza destino”, in Italia disponibile da Feltrinelli. Kertész sarebbe di nuovo resuscitato, dopo il crollo del Muro di Berlino, come una delle voci più alte e nobili dell’umanesimo mitteleuropeo e del suo parnaso letterario. Come una delle voci maggiori della letteratura dell’Europa centrorientale, rimasta a lungo ai margini del grande pubblico per via di una lingua strana e stupenda, fino alla celebrazione da parte dell’Accademia reale di Svezia che nel 2002 gli ha comminato il premio Nobel per la Letteratura.

 

Difficile immaginare che le case editrici italiane adesso vogliano acquistare i diritti della sua ultima fatica, “Den sista tillflykten”, l’ultimo rifugio. Le poche anticipazioni disponibili, fatte uscire dal noto blogger letterario Thomas Nydahls e confermate dall’editore Weyler, lasciano intendere un libro “islamofobo”, come lo hanno già definito certi pigri critici culturali. A pagina 177, Kertész, che vive a Charlottenburg, l’elegante quartiere di Berlino e storica mèta degli intellettuali ebrei (il Nobel ha affidato alla Germania il suo archivio letterario), attacca “l’Europa che ha prodotto Hitler” e che oggi “spalanca le porte all’islam”, che “non osa più parlare di razza e religione, mentre l’islam conosce solo il linguaggio dell’odio contro religioni ‘aliene’”. E ancora: “Vorrei parlare di come i musulmani stanno inondando, occupando, distruggendo l’Europa”, complice “il liberalismo suicida, infantile e schivo” e la “democrazia stupida”, vittime della “menzogna” e del “totale abbandono di sé”.

 

[**Video_box_2**]Già nel 2009, durante l’Operazione israeliana Piombo fuso a Gaza, mentre i letterati correvano a demonizzare Gerusalemme, Kertész spiazzò tutti: “Israele ha un grave problema da affrontare, quello della sua sopravvivenza. Gli israeliani stanno lottando per la loro vita, e io solidarizzo con loro”. Il nuovo libro di Kertész è un diario che va dal marzo 2001 al 9 febbraio 2009, si dipana fra l’attacco terrorista ai treni di Madrid e “l’abolizione totale della libertà, nel bel mezzo di una ricchezza materiale relativa”. “Sono convinto che il pacifismo non costituisce la risposta appropriata alla sfida del terrorismo”, sostiene lo scrittore ebreo-ungherese. “Come è possibile che improvvisamente si è dimenticato chi è il nemico e chi l’alleato?”. Pensa anche che “una civiltà che non proclama chiaramente i suoi valori è a un passo dalla perdizione e dalla debolezza terminale. Quando penso al futuro dell’Europa, mi immagino una Europa forte, sicura di sé, che sarà sempre pronta a discutere, ma mai a scendere a compromessi. Non dimentichiamo che l’Europa stessa è nata come il risultato di una decisione eroica: Atene ha scelto di opporsi ai Persiani”.

 

In questo nuovo libro di 180 pagine, Kertész lancia la sua ultima, fatale premonizione sinistra sull’Europa a cui tanto tiene: “Finisce sempre allo stesso modo: la civiltà raggiunge una fase di maturazione in cui non solo non è in grado di difendersi, ma in cui in maniera incomprensibile adora il nemico”.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.